Redazione

…lasciando Betlemme, abbiamo incrociato lo sguardo di un giovane cristiano palestinese, con regolari documenti, che si è visto rifiutare il permesso di passare e con rabbia e tristezza ha protestato sottovoce: «Fortunati voi!»…

di Elena Bolognesi

Un gruppo di giovani volontari, accogliendo una proposta della Pastorale giovanile della Diocesi di Milano, decide l’estate scorsa di partire per la Terra Santa, nonostante i primi scontri tra Israele e Libano abbiano cominciato a occupare le prime pagine dei giornali. Ad attenderli la comunità ecclesiale di Betlemme e, in particolare, la parrocchia di rito greco-cattolico. 

L’attesa è ricca di aspettative: da qualunque parte la si voglia guardare, appare come un’esperienza dai mille risvolti. È la terra che Gesù ha voluto abitare e la visita ai Luoghi Santi è come un percorso di preghiera, una lettura continua della Parola di Dio incarnata nella storia e nella geografia. Ma è anche terra di conflitto da più di cinquant’anni: le ferite si vedono sulle case, ma soprattutto sui volti delle persone, negli sguardi e nelle parole. Dal confine tra Israele e Libano arrivano notizie di morti, di feriti, di gente che scappa. Ma questa terra è anche santa, perché resa tale dalla presenza della Chiesa e dei suoi figli, anche se le divisioni tra le diverse confessioni cristiane non aiutano a superare l’impressione che la pace sia un bene davvero prezioso e raro.

Entrare in contatto con le comunità cristiane arabe, qui come in Giordania, in Siria, Libano e nel resto del Medio Oriente, porta a una prima riflessione mai scontata: la cristianità nella terra di Gesù non è solo quella dei Luoghi Santi e delle numerosissime comunità religiose, in rappresentanza di tutto il globo. La vera sorpresa per i volontari ambrosiani è stata quella di ritrovarsi impegnati in attività molto simili a quelle dei nostri oratori, che sono divenute una sorta di linguaggio comune, certamente più comprensibile della lingua araba. E così le mattinate sono trascorse tra gruppi scout, prove della banda musicale, giochi all’aria aperta, nuotate in piscina, lavoretti manuali, canti e danze. 

La vera differenza è data dal contesto: i bambini se ne accorgono al momento del coprifuoco, oppure quando si rendono conto di non poter più andare a trovare i nonni perché, anche se a pochi chilometri di distanza, stanno al di là del muro. Ma i giovani capiscono molto bene e vedono i loro sogni di studio, di lavoro, di viaggi, infrangersi davanti ai soldati e alle soldatesse del check-point, giovani come loro. Lasciando Betlemme per recarci verso Gerusalemme, abbiamo incrociato lo sguardo di un giovane cristiano palestinese, con regolari documenti in mano, che si è visto rifiutare il permesso di passare e, voltandosi per tornare sui suoi passi, ci ha indicato i tornelli di metallo del check-point e, con rabbia e tristezza, ha protestato sottovoce: «Fortunati voi!».

Giovani cristiani italiani e giovani cristiani palestinesi si sono incontrati: la stessa fede e un modo molto simile di viverla e di esprimerla. Per i primi un’assunzione di consapevolezza della possibilità non scontata di vivere in pace, liberi di professare la fede e alimentare la vita spirituale; per i secondi, un incoraggiamento a sostenere la speranza, giorno dopo giorno, nella terra di Gesù, violata dall’odio dell’uomo.

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