La celebrazione della Giornata mondiale (2 febbraio) è occasione non solo per ricordare la ricchezza che rappresenta per la Chiesa ambrosiana, ma anche per sottolineare il patrimonio di spiritualità offerto dalla sua testimonianza
di monsignor Paolo
Martinelli
Vescovo ausiliare e Vicario episcopale
Come ogni anno il 2 febbraio, festa della Presentazione del Signore al tempio, si celebra la Giornata mondiale della Vita consacrata. Un evento voluto da san Giovanni Paolo II nel 1997 per richiamare l’attenzione del popolo di Dio alla bellezza di una vita alla sequela di Cristo casto, povero e obbediente.
Una risorsa per la Diocesi
La Chiesa ambrosiana ha una tradizione vastissima a questo proposito. Senza i vari istituti maschili e femminili la storia e l’identità della Chiesa ambrosiana sarebbe stata molto diversa, tanto è stata arricchita lungo i secoli dalle diverse spiritualità e dalle numerose opere portate avanti da persone consacrate.
La vita consacrata si esprime spesso nel «prendersi cura» delle situazioni di «emergenza spirituale» in cui si trova tanta gente. Monasteri, conventi, opere di carità, vicinanza ai poveri, scuole, centri di spiritualità, ospedali e residenze per anziani; dalla vita eremitica e contemplativa a quella più laicamente inserita nelle pieghe della vita quotidiana, la vita consacrata anche nella nostra Chiesa di Milano si presenta «come un albero che si ramifica in modi mirabili e molteplici nel campo del Signore a partire da un germe seminato da Dio» (Lumen Gentium 43).
Dentro il cambiamento d’epoca
Certo, la vita consacrata sta cambiando velocemente anche da noi; la pandemia ne ha accelerato i processi. Occorre leggere questo fenomeno all’interno del «cambiamento d’epoca» nel quale si trova la Chiesa e la società. Siamo nel tempo della grande incertezza, dove anche le evidenze più elementari sembrano venire meno; sintesi di pensiero e di vita costruite pazientemente nei secoli sembrano non reggere all’urto del cambiamento.
In questo contesto la forma del corpo ecclesiale sembra riscriversi e con essa anche la vita consacrata. Saprà interpretare anche oggi i segni dei tempi alla luce del Vangelo, come ha fatto in passato? Infatti le forme della vita consacrata sono spesso nate in relazione ai grandi cambiamenti sociali, come risposte evangeliche alle mutate condizioni di vita: il movimento benedettino, gli ordini mendicanti, le grandi congregazioni moderne, gli istituti missionari, le forme di inserimento nella società come gli istituti secolari e le nuove forme di vita evangelica.
Laboratori della Chiesa dalle genti
Certamente oggi ci sono forme di consacrazione molto legate al contesto storico, che risentono più fortemente dei cambiamenti; altri istituti, che hanno sviluppato l’internazionalità, sono presenti tra noi come «laboratori di una Chiesa dalle genti» – secondo la felice espressione del nostro Arcivescovo – dove si può sperimentare la «convivialità delle differenze» culturali e sociali. Circa un centinaio sono ormai le comunità religiose composte unicamente da persone di origine estera, che si stanno inserendo con ammirabile tenacia, non senza fatiche, nel nostro contesto ecclesiale e sociale. Anche questo è autentico scambio tra le Chiese, esercizio di comunione; esperienza di missione. Altre realtà nuove di consacrazione, presenti sul territorio diocesano, sviluppano forme inedite di reciprocità uomo-donna nella vita e nell’apostolato; altre ancora si esprimono in un intenso rapporto tra persone consacrate e le famiglie. Vi sono forme di consacrazione molto sobrie, spesso legate fortemente al contesto diocesano. C’è un patrimonio di spiritualità che chiede di essere reinterpretato e offerto ai giovani, che hanno bisogno di testimoni di speranza.
In questo senso, la vita consacrata è chiamata a mostrare a tutti la bellezza della vita come vocazione, il fascino di una umanità vera vissuta intensamente, l’attrattiva di Gesù che si fa mendicante del cuore dell’uomo, fatto per la felicità. Il 2 febbraio, dunque, siamo tutti invitati a partecipare al solenne Pontificale in Duomo alle 17.30 con l’Arcivescovo, non solo per celebrare «una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire» (Vita consecrata 110).