Dalle testimonianze di due consacrati membri della Commissione di coordinamento del Sinodo minore emerge la gioia di lavorare nella diocesi per affermare la consapevolezza di far parte di un unico popolo di Dio
Quest’anno la Giornata mondiale della Vita consacrata avviene per la nostra diocesi in un momento particolare. Stiamo infatti celebrando il Sinodo, voluto dall’Arcivescovo Mario, sulla Chiesa dalle genti. Un percorso per essere popolo di Dio composto da fedeli di culture e di nazioni diverse. Quale ruolo gioca la Vita consacrata in questo processo?
Alcuni membri della Commissione per il Sinodo sono consacrati. Uno di questi è padre René Manenti, scalabriniano, parroco di Santa Maria del Carmine a Milano e della parrocchia personale di San Carlo per le comunità di lingua inglese. Ci ricorda come la sua congregazione sia nata proprio per accompagnare nello spirito del Vangelo «la mobilità umana». Il suo compito è attualmente «promuovere la comunione tra i fedeli di lingua inglese, che provengono da nazioni diverse», aumentando in loro «la coscienza di appartenere a una comunità». Padre René è stato «contento fin da subito» di partecipare alla Commissione del Sinodo; desidera portare alla diocesi di Milano l’esperienza della propria congregazione. È convinto del contributo che i religiosi possono dare alla «comunione nelle diversità», riconoscendo che «abbiamo una fede e un battesimo comune». Non dobbiamo solo «accogliere gli altri», ma «costruire insieme una forma plurale di comunione». Padre René vive in una fraternità con confratelli provenienti dall’Italia, Sri Lanka e Vietnam: «È una scelta che abbiamo fatto come scalabriniani», fratelli diversi per cultura che «progettano insieme». Una scelta, questa, che sempre più istituti di vita consacrata stanno attuando in diocesi.
Anche suor Elsy Elvira Torres Carrasco partecipa alla Commissione; appartiene all’istituto messicano delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù di Xalapa. Si trova in Italia dal 1992; il carisma dell’istituto è aiutare le parrocchie nell’azione pastorale. Non nasconde che all’inizio è stato difficile inserirsi nella nostra diocesi: la diversità di cultura e anche di rito hanno chiesto impegno. Tuttavia, ricorda «l’aiuto decisivo del parroco», che si è impegnato a far studiare le suore «la lingua italiana e Scienze religiose». Oggi sono impegnate in cinque parrocchie. L’esperienza del Sinodo è per suor Elsy una realtà molto bella; vuole trasmettere la gioia di lavorare nella diocesi; «siamo qui con la coscienza di essere missionarie»; «la fede ci fa capire che siamo un unico popolo di Dio e questo ci fa amare le persone che incontriamo». Questo amore «ci fa superare le difficoltà per il desiderio di portare a tutti Cristo».
Nella nostra diocesi ci sono ormai centinaia di suore come suor Elsy che provengono da Nazioni diverse e lavorano in pastorale. Infine, al Sinodo danno il loro contributo anche diversi membri di istituti secolari, «consacrati nel mondo», che quest’anno ricordano il 70mo anniversario del loro riconoscimento pontificio. La loro presenza capillare e competente offre un contributo “dal di dentro” della condizione di questi “nuovi ambrosiani”, mostrando come la Chiesa non abbia paura dei cambiamenti, ma li vuole abitare fino in fondo. Quest’anno il 2 febbraio in Duomo sarà davvero una celebrazione di una Chiesa sempre più “dalle genti”.