Al teatro San Babila i ragazzi della Diocesi hanno esposto all'Arcivescovo le loro esperienze di convivenza, in strutture parrocchiali e non, accomunate dalla fede
di Annamaria
Braccini
«La vita comune come aiuto a conoscersi sotto lo sguardo di Gesù, anche con le nostre debolezze, per sperimentare un umanesimo cristiano concretamente esercitato e come luogo in cui lo Spirito rivela a ciascuno uno strada da percorrere».
Sono state queste le tre indicazioni che l’Arcivescovo ha lasciato al centinaio e più di giovani riuniti nel Teatro San Babila, per interpretare al meglio la scelta di vita comunitaria. Un’esperienza che questi ragazzi, la maggior parte universitari, hanno deciso di vivere con forme, tempistiche e vocazioni diverse, in dodici realtà presenti nella Diocesi (a cui se ne aggiungeranno presto altre). Tutte accomunate – come ha detto in apertura don Marco Fusi, responsabile del Servizio per la Pastorale Giovanile e l’Università, presente anche il responsabile della Sezione Università, don Marco Cianci – «dal vivere il valore della fraternità con stile». E così quattro giovani, salendo sul palco del teatro accanto al vescovo Delpini si sono raccontati tra speranze, ansie, scoperte inattese e veri e propri «doni che Gesù ci ha fatto scoprire, vivendo sotto lo stesso tetto».
Il pensiero non può che andare alle tante difficoltà abitative di chi a Milano arriva per studiare o lavorare. Con altrettanta evidenza in questi tipi di tetto comune c’è però qualcosa in più, che va al di là del semplice fattore del bisogno. La differenza è la voglia di mettersi insieme, condividendo gioie e fatiche con una fede quotidiana fatta di preghiera e di confronto. Insomma, «un’occasione di dialogo nelle case e tra le case», per parafrasare l’Arcivescovo, concretizzatasi per Delpini nell’esperienza, segnata dall’aspetto vocazionale, de “La Rosa dei Venti”, promossa dall’Azione Cattolica ambrosiana, o per Altea nella “Ringhiera” di Comunione e Liberazione e per Veronica in “Casa Eureka”, contraddistinta dalla scelta della carità e proposta dalla Pastorale Giovanile e da Caritas Ambrosiana.
Le testimonianze dei giovani
«Come si diventa adulti?», si interroga Delpini che osserva. «Se consideriamo tanti studenti fuorisede si pensa che siano costretti a una vita comune solo per poter vivere a Milano, noi invece cerchiamo di stare insieme per mettere al centro il Signore. Credo che la parola che si addice di più alle nostre esperienze, sia cura gli uni per gli altri».
«Sono venuta dalla Puglia – racconta invece Altea – all’inizio non sapevo niente di Comunione e Liberazione, cercavo solo un appartamento, poi, è esplosa in me una pienezza. Ho deciso di fare un cammino, di battezzarmi e accompagnata dalla mia coinquilina, ho ricevuto il battesimo il 23 aprile. Ciò che unisce questa compagnia è Cristo». Elena, che convive con altre tre ragazze, parla di una di loro che è affaticata e chiusa «e che non so come aiutare». Infine Veronica che, da ottobre scorso, fa vita comune in un appartamento della Congregazione di Nazareth, in zona San Siro, aggiunge. «Che volto ha per noi la carità? Lo abbiamo messo a fuoco nella nostra comunità come esercizio. “Eureka” (in greco, “ho trovato”) esprime quella dimensione di unicità che abbiamo incontrato alla luce della fede condivisa e che ci permette di aiutarci a vicenda. Nella concretezza della quotidianità sappiamo che Cristo, maestro e amico, è con noi».
L’intervento dell’Arcivescovo
Tre le icone bibliche con cui il vescovo Delpini, orienta la sua risposta complessiva ai ragazzi. Il primo testo è dal Vangelo Matteo al capitolo 9 dove il Signore vide un uomo chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte e disse: “Seguimi”, intuendo «in questo uomo rassegnato il desiderio di un oltre».
«Accettare il desiderio di una vita comune, non è soltanto trovare una sistemazione, ma si rivela la chiamata a un oltre. Poi, a tavola, dice ancora il Vangelo in quella pagina, “si radunarono molti pubblicani e peccatori”. Questo è un modo per dire che la vita comune è una convocazione, magari all’inizio dettata da una scelta opportunistica, per conoscersi guardati da Cristo. Siamo fatti per stare in piedi, non seduti. Per conoscersi bisogna stare con gli altri insieme con Gesù. Nessuna libertà è un meccanismo automatico. Io sto alla porta e busso e, se qualcuno mi aprirà, io condividerò: questa è la logica della libertà. La vita comune può essere un luogo per il discernimento proprio perché costruiamo un “noi” intorno a Gesù».
C’è il suggerimento del secondo testo, tratto da Luca 22 nel brano degli apostoli inviati a preparare della Pasqua, dove tra i discepoli nasce anche la discussione su chi, tra loro, fosse da considerare il più grande. «Queste parole ci dicono – sottolinea Delpini – che la vita condivisa permette un esercizio di umanesimo cristiano che comincia con la riconoscenza. Chi fa vita comune entra in una casa che altri hanno preparato e, dunque, si deve avere riconoscenza. Però ci dice che la vita comune è anche il luogo in cui emergono ambizioni, difetti, meschinità. In un umanesimo individualistico, gli altri sono un fastidio: in quello cristiano, che non nega l’esistenza di atteggiamenti sbagliati, ci si può, invece, convertire. Voi siete chiamati a essere un’alternativa alla meschinità, non perché siete perfetti, ma perché potete cambiare. Siete un’alternativa all’autocentrismo, perché, come dice il Signore, il più grande è colui che serve e voi vivete questa dimensione del servizio».
Il terzo riferimento suggerito dalla Scrittura è Atti al capitolo XIII, «che indica la potenzialità della vita comune: un pregare insieme che permette allo Spirito santo di parlare e a noi di discernere su ciò che siamo chiamati a fare».
Da qui la conclusione «Al di là delle vostre appartenenze a movimenti o gruppi, il metodo che vi propongo è di leggere la Scrittura, perché i vostri maestri di riferimento sono comunque voci che devono portare a Gesù». Infine, dopo la recita corale dei Vespri, non manca un momento conviviale vissuto, tutti insieme, in casa dell’Arcivescovo.
Leggi anche: