Da oltre 40 anni minorenni provenienti da situazioni familiari complesse vengono qui accolte dalle Suore missionarie di Gesù Redentore e da educatori. Parla suor Franca Corti

di Luisa BOVE

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Una realtà attiva sul territorio del Decanato di Affori da oltre quarant’anni è quella di Villaluce, che l’Arcivescovo visiterà il 22 gennaio alle 9. Quella di via Ippocrate 22 è la prima sezione aperta a Milano nel 1980 dalle Suore missionarie di Gesù Redentore, appena costituite dopo aver lasciato la comunità delle Suore della Riparazione a Lampugnano: con alcuni laici fondarono la nuova realtà ospitando le prime 5-6 ragazze, anch’esse provenienti dall’altra struttura di accoglienza.

«Quella di lavorare insieme ai laici – spiega suor Franca Corti, responsabile di Villaluce – è una scelta che scaturisce anche dalle nostre costituzioni. Oltre a Villaluce esiste anche la Casa del sorriso, in provincia di Varese, e nel 2016 abbiamo aperto a Milano, in zona Quarto Oggiaro, una comunità terapeutica di neuropsichiatria per adolescenti che si chiama Omada».

Com’è cambiata nel tempo la tipologia delle vostre ospiti?
Due anni fa abbiamo festeggiato i 40 anni di Villaluce: da allora abbiamo accolto 1600 ragazze e se penso alla complessità delle accoglienze… Le ospiti rispecchiano l’evoluzione della società: prima erano ragazze che a livello sociale e culturale erano molto più povere e con un livello di istruzione basso; oggi invece studiano e arrivano anche da famiglie socialmente e culturalmente elevate, nelle quali però emergono altri tipi di povertà, di valori e di senso della vita. Poi abbiamo le classiche famiglie povere che vengono dalle periferie, ma anche tante ragazze che arrivano da tutto il mondo (America Latina, Asia, Cina, Africa…): qualche anno fa abbiamo avuto il boom, adesso sono per il 60% italiane e il 40% straniere.

Qual è l’età delle ragazze?
Accogliamo minorenni dai 14 anni in su. Arrivano tutte attraverso i Servizi sociali con decreto del Tribunale per i minorenni. A 18 anni possono decidere se andarsene o chiedere il prosieguo amministrativo per continuare il loro percorso fino ai 21 anni, anche perché la maggior parte di loro arriva da situazioni familiari molto complesse e difficili.

E una volta fuori cosa fanno?
La maggior parte non rientra a casa, anche se noi svolgiamo un grande lavoro con le famiglie, perché rappresentano le radici delle ragazze. In ogni caso lavoriamo sul recupero dei rapporti, perché riescano a rappacificarsi con il loro passato. Chi non rientra inizia un percorso di autonomia con un progetto individuale: noi le aiutiamo a trovare casa, lavoro e un minimo di stabilità affettiva, perché poi vanno a vivere da sole.

Quali sono i requisiti dei vostri educatori?
A tutti chiediamo la capacità di accoglienza, la passione per la vita e il desiderio di amare le ragazze, oltre alla professionalità. La residenzialità è molto impegnativa perché copre giorno e notte; inoltre si tratta di accoglienze che mettono in crisi, si toccano certe povertà e fatiche difficili da sostenere se non si ha passione. Per questo garantiamo a tutti la formazione permanente. Solo a Villaluce abbiamo una quarantina di educatori dai 24 ai 50 anni.

Attualmente quante ragazze avete?
Sono una cinquantina, ma divise in piccole comunità, perché abbiamo una rete. Qui in via Ippocrate ne abbiamo tre (due ospitano 8 ragazze e una 5), più una comunità di pronta accoglienza con 10 minori. Al termine del percorso le giovani possono spostarsi in altre abitazioni che abbiamo sul territorio: sono ancora comunità dove vivono 5 ragazze seguite dagli educatori. Se a 18 anni chiedono di continuare abbiamo anche alloggi per l’autonomia, dove vivono da sole o con un’altra compagna; l’educatore non vive con loro, ma segue i progetti individualmente. Entrano ragazzine ed escono giovani donne.

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