Don Massimo Stucchi, cappellano all’Istituto Auxologico di Milano, definisce così l’essenza del suo ministero. E sottolinea l’importanza della formazione di chi sta accanto ai sofferenti: «Il volontariato è cruciale e utilissimo, ma le domande della medicina odierna chiedono risposte supportate dalla professionalità»
di Annamaria
Braccini
«Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità». È questo il tema della XXX Giornata Mondiale del Malato. Ma come vive oggi questo appello il cappellano di una grande e diversificata struttura di cura e assistenza? Don Massimo Stucchi, che svolge questo ministero presso l’Istituto Auxologico Italiano-Irccs, avvia così la sua riflessione: «L’espressione “porsi accanto”, anzitutto, mi richiama alle parole con le quali l’Arcivescovo indica che il cristianesimo non è solo dottrina, non è solo legge, ma è incarnazione, un rapporto personale, un essere vicino ai pazienti e agli ospiti all’interno, per esempio, della nostra Rsa. Questo è il senso del mio servizio che, come cappellano, sono chiamato a svolgere presso l’Istituto Auxologico».
Potremmo definirlo un ministero della mano tesa e dell’ascolto?
Sì, soprattutto, direi dell’ascolto. Più che tante parole, mi rendo sempre più conto che è questa presenza che viene richiesta. L’ascolto è fondamentale perché qui, forse più che altrove, ci sono vicende che hanno bisogno di essere raccontate, storie di grandi esperienze e di grandi fatiche.
Come si svolge una sua giornata-tipo?
Sono all’Auxologico da un anno: sono stato nominato cappellano dell’Ospedale San Luca, della realtà intitolata a don Giuseppe Bicchierai, che in parte è una Rsa e, in altra parte, una struttura riabilitativa. Seguo anche l’ambulatorio di Milano e la Clinica Capitanio. Attualmente la pandemia ci ha costretto a rimodulare un po’ i tempi e le presenze. Prima del Covid, ogni giorno mi recavo in una delle quattro diverse strutture, proprio perché ciascuna di esse presenta situazioni particolari e differenziate. Presso la Rsa si celebra la Messa insieme agli ospiti.
Viviamo in un momento complesso: come la pandemia ha inciso anche sul suo ruolo, al di là del concreto svolgersi degli impegni quotidiani?
Ha inciso nella misura in cui, primariamente, pur tra chiusure e stringenti misure di sicurezza sanitaria, vi è la necessità di salvaguardare l’attenzione alla salute delle persone, senza dimenticare il sostegno umano. Insieme alla direzione sanitaria e agli operatori, cerchiamo di costruire un percorso che possa far sentire la vicinanza della misericordia del Signore a tutti, per quanto possibile.
A livello personale come ha vissuto questo momento di difficoltà? È riuscito a mantenere i contatti con i pazienti, magari a distanza?
Sicuramente mantenere i rapporti con i degenti, con il personale, con gli ospiti, come pure con i parenti dei ricoverati, è fondamentale. Dal punto di vista personale, ho vissuto e vivo delle limitazioni, ma le accolgo come motivo di preghiera.
L’Ufficio della Cei per la Pastorale della Salute, a proposito della Giornata, scrive: «La vicinanza al malato non può risolversi in un’assistenza episodica, ma deve svilupparsi in un cammino di carità». Questo va anche nel senso di quei percorsi formativi che la Diocesi ha instaurato ormai da tempo, anche in collaborazione con la Regione Lombardia?
Sì. Si tratta di cammini che aiutano davvero tutte le diverse figure che, a diverso titolo, hanno a che fare con la cura. A tale proposito, relativamente all’importanza non solo formale di questa proposta della nostra Chiesa, sottolineerei due aspetti: quello del volontariato, che sta alla base dell’assistenza a livello diocesano, e che anche all’Auxologico vede la presenza e l’impegno di un’associazione, e la professionalità.
Occorre coniugare, laddove possibile, il volontariato con la formazione?
In questo momento e in un mondo che cambia, accanto alla parola volontariato mi pare infatti importantissimo sviluppare la professionalità, per stare accanto sempre più e meglio alle situazioni che si creano, con una conoscenza che deve andare di pari passo con il modificarsi e la crescita dell’esperienza medica nella cura della persona. Credo che questo porti anche a porsi nuove domande, interrogativi di senso, che oggi emergono con particolare evidenza e che forse anni fa erano meno avvertite. Faccio un esempio: io sono originario di Sulbiate, dove svolse il suo intero ministero sacerdotale don Mario Ciceri, che il 30 aprile verrà beatificato (vedi qui lo speciale). Lui fu un prete consolatore per gli ammalati del paese e realizzò una vicinanza fatta di volontariato; ma le domande che attualmente suscita la medicina hanno bisogno di risposte supportate dalla professionalità. Il “buon cuore” di chi si rende disponibile, comunque cruciale e utilissimo – sarebbe impossibile farne a meno nelle nostre corsie – non è più da solo sufficiente a creare una relazione di cura che sia un vero “farsi prossimo”. Ecco perché è importante avere questi cammini formativi all’interno della proposta diocesana.