Il presidente Matteo Lovatti presenta l'attività della cooperativa sociale che - in controtendenza rispetto alla «logica dello scarto» oggi prevalente - recupera indumenti e altri articoli considerati ormai rifiuti, creando nel contempo occasioni di impiego per persone svantaggiate ed emarginate dal circuito lavorativo
di Annamaria
BRACCINI
«Vesti Solidale». Bello e chiarissimo il nome per una realtà altrettanto bella e virtuosa, fatta di una filiera di attività che non solo aiuta chi è in difficoltà, ma è attenta a non sprecare mai. E questo nel rispetto dell’ambiente e della sostenibilità, con il recupero di vestiti, ma anche di altri generi di prodotti, nella logica che propone l’ormai imminente 49ma Settimana sociale dei cattolici italiani, al via il 21 ottobre.
A parlare di «Vesti Solidale» è il presidente Matteo Lovatti: «Siamo una cooperativa sociale di tipo B, che crea quindi occasioni di lavoro per persone svantaggiate, come disabili psichici o fisici, o chi sta scontando misure alternative di detenzione. Tuttavia abbiamo anche persone che non sono svantaggiate per la legge, ma che lo sono nei fatti, come i migranti o chi ha perso il lavoro ed è over 50».
Qual è la vostra attività?
Lavoriamo nell’ambito delle raccolte differenziate e del recupero dei rifiuti, in particolare dei vestiti, che per la normativa italiana sono considerati comunque rifiuti. Oggi li raccogliamo dai circa 800 cassonetti gialli «Dona valore», dislocati in diverse parti della città di Milano, e nelle province di Milano e Monza, dove i cittadini possono lasciare i capi di abbigliamento che non utilizzano più. Facciamo parte del Consorzio Farsi Prossimo di Caritas ambrosiana e della Rete “R.i.u.s.e.” (Raccolta Indumenti Usati Solidale ed Etica), costituita da otto cooperative che svolgono questo tipo di servizio nelle diocesi di Milano, Bergamo e Brescia, avendo come obiettivo l’inserimento di persone in difficoltà e il sostegno, attraverso i loro ricavi, dei servizi socio-assistenziali Caritas delle proprie diocesi. Per esempio, qualche tempo fa abbiamo destinato parte delle nostre risorse al finanziamento del progetto dei corridoi umanitari dall’Eritrea.
Come si svolge in concreto il lavoro?
Per quanto riguarda gli indumenti, prima di noi ci sono i guardaroba dei Centri d’ascolto Caritas delle parrocchie, dove chi vuole può donare. Quello che invece noi raccogliamo viene stoccato presso il nostro magazzino di Cinisello Balsamo: una piccola parte di questa raccolta, quantificabile intorno al 5%, viene selezionato per individuare capi in buono stato che possono essere rivenduti nei nostri negozi Share – tre a Milano e uno a Varese -, che, promuovendo finalità sociali, offrono abbigliamento di qualità di seconda mano. In un anno raccogliamo 5.000 tonnellate di vestiti, pari a circa 15 milioni di capi. Tutto il resto viene venduto ad altri soggetti, prevalentemente in Italia, che svolgono lo stesso lavoro. A oggi solo una piccola parte della raccolta – ovviamente costituita da merce inutilizzabile – va allo smaltimento.
Pochi giorni fa avete promosso l’iniziativa “ScartiAmo”. Di cosa si è trattato?
Da poco tempo collaboriamo con la sartoria e stireria “Taivé” di Lambrate, attiva da 12 anni, che sostiene donne di diverse nazionalità per lo più vittime di tratta e di violenza. Negli ultimi sei mesi si è rafforzata la collaborazione e, così, all’interno del laboratorio, è stata realizzata una piccola collezione di capi pregiati prodotti con tessuti di recupero.
Quante sono le persone impegnate?
In tutto siamo 127. Occorre però sottolineare che ci occupiamo anche della raccolta di altri rifiuti, oltre i vestiti, come i toner e le cartucce esauste per stampanti. Naturalmente sempre con la stessa logica: raccogliamo, facciamo selezione, valutiamo ciò che essere avviato alla rigenerazione e lo vendiamo, utilizzando i proventi per supportare iniziative solidali. Lo stesso con i rifiuti elettronici: raccogliamo computer, prevalentemente dalle aziende, aggiorniamo la macchina, e, in questo modo, il computer ricondizionato, ma completamente funzionale, può servire per esempio per famiglie che non hanno mezzi per permettersene uno nuovo. In questo campo, abbiamo realizzato qualche progetto con le Fondazioni di Comunità di Monza e di Lecco.