Nel Cinema-teatro San Giorgio di Bisuschio l’Arcivescovo apre la Visita pastorale nel Decanato di un territorio dove sono presenti molti frontalieri. Il decano don Giampietro Corbetta sottolinea l’esigenza di superare i ritualismi, sviluppare un maggiore senso di appartenenza ed evitare dualismi con il mondo

di Cristina CONTI

Don Giampietro Corbetta

Mercoledì 22 febbraio il cardinale Angelo Scola aprirà la Visita pastorale al Decanato Valceresio, incontrando i fedeli alle 21 a Bisuschio (Varese), presso il Cinema-teatro San Giorgio (via della Repubblica 22). «Siamo in tutto sedici parrocchie, divise in sei Comunità o unità pastorali – spiega il decano don Giampietro Corbetta, parroco di Santa Maria Immacolata e San Vittore ad Arcisate -. Ci sono due Comunità pastorali, quella di San Carlo a Induno e quella di Sant’Elia in prossimità dei valichi. E poi sei unità pastorali: Arcisate-Brenno, Bisuschio-Pogliana, Porto Ceresio-Besana e Quasso-Brusinpiano».

Come vi siete preparati per questo momento?
Tutte le parrocchie e le realtà legate a queste sono state protagoniste della consultazione a partire dal mese di giugno, per estrapolare i punti nodali di forza e di fatica della fede. Le consultazioni sono state messe in comune e abbiamo creato una sintesi da presentare al Cardinale.

La partecipazione alle attività parrocchiali è buona?
Il fatto che qui vivano molti frontalieri ci ha obbligati a reimpostare la proposta pastorale sui tempi della gente. È molto difficile avere presenze nei momenti feriali con incontri serali. Si gioca soprattutto sul week-end. Quasi tutte le proposte infrasettimanali sono per gli “addetti ai lavori” (catechisti, membri del Consiglio pastorale, persone che prestano servizio in Caritas). Al sabato e alla domenica ci sono proposte precise molto seguite: come la domenica insieme, con genitori, figli e nonni, utile per intercettare più persone, e la catechesi dei giovani la domenica sera.

L’immigrazione è presente?
Sì, ci sono stranieri che cercano di entrare in Svizzera e vengono bloccati, ma la situazione non crea grosse preoccupazioni sociali. Se poi sono di religione cattolica partecipano anche alla vita della Chiesa, come accade per le comunità albanesi.

Quali le sfide per il futuro?
È una domanda interessante. L’immagine che ci appartiene è quella di una Chiesa di confine: siamo al limite estremo della Diocesi e a soli cinque chilometri dalla Svizzera. È un’immagine simbolica, ma anche il nostro punto di partenza come Chiesa. È importante educarsi al senso della festa. La religiosità non deve essere solo una questione di rito. Bisogna trovare la priorità vera delle cose: qui da noi, infatti, vivono laici frontalieri, persone che hanno giornate che non finiscono mai. È poi importante che si sviluppi un maggiore senso di appartenenza alla Chiesa: si pensa troppo in modo autoreferenziale a provvedere a se stessi. C’è poi il dualismo Chiesa-mondo, un’altra sfida significativa da superare. Ogni uomo deve essere cristiano che cerca di vivere la Chiesa da protagonista, dando il senso giusto a tutte le cose.

 

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