A 36 anni dalla morte la figura del Venerabile è stata ricordata con un convegno e una celebrazione eucaristica, presieduta dall’Arcivescovo nella chiesa di Sant’Antonio Abate
di Annamaria
Braccini
«Giuseppe Lazzati emerge, nella sua autorevolezza, con la sicurezza di persone che tengono insieme umiltà e fierezza, che si trovano al comando con la stessa naturalezza con cui si troverebbero tra i prigionieri. Si cercano per l’oggi uomini e donne così, che sappiano infondere coraggio e suggerire come salvarci dal naufragio».
È un riferimento suggestivo e, insieme, attualissimo – dettato dalla Lettura liturgica del giorno, tratta da diversi passi degli Atti degli Apostoli al capitolo 27 con la narrazione del naufragio della barca su cui viaggiava il prigioniero san Paolo – quello che l’Arcivescovo propone, facendo memoria della figura di Giuseppe Lazzati, scomparso all’alba della Pentecoste di 36 anni fa, il 18 maggio 1986. Nella splendida chiesa di Sant’Antonio Abate, concelebrano, per l’occasione, don Giuseppe Grampa, don Giorgio Begni, uno degli assistenti dell’Università Cattolica – di cui Lazzati fu storico rettore dal 1968 all’83 – e don Cristiano Passoni, assistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica ambrosiana. Come “padrone di casa” è lui che ricordando il venerabile Giuseppe Lazzati (riconosciuto tale con un decreto promulgato da papa Francesco, il 5 luglio 2013), dice. «La santità non è una nostalgia per il passato o una memoria retorica per il presente. Celebriamo nei santi la capacità di leggere questo presente, ciascuno con il modo che gli e le era proprio, alla luce di Dio. I santi – il richiamo è a don Mario Ciceri e Armida Barelli, beatificati il 30 aprile scorso, ma anche a Charles de Foucauld canonizzato il 15 maggio -, ci aiutino a rispondere al nostro compito in questo tempo in cerca di profezia».
Un tempo di oggi, analizzato anche nel convegno che, precedendo la celebrazione eucaristica, viene dedicato ad “Agire politico e mediazione”, a partire dalla proposta di legge sulla morte volontaria medicalmente assistita, delineata con l’intervento, tra gli altri, dell’onorevole Alfredo Bazoli, relatore della proposta.
A tutti coloro che partecipano alla Messa, tra cui i parenti del Venerabile in prima fila, con la cognata e i nipoti, i presidenti dell’Istituto secolare “Cristo Re”, Antonio Vendramin, dell’associazione “Città dell’uomo” Luciano Caimi, entrambi da lui fondati, della “Fondazione Lazzati”, Mario Picozzi, dell’Azione Cattolica ambrosiana, Gianni Borsa e ai convegnisti, si rivolge il vescovo Mario.
L’omelia dell’Arcivescovo
Si cercano uomini e donne che dicano: “Non perdetevi d’animo, fratelli”».
«“Siamo tutti sulla stessa barca” è un’espressione che suona come un incoraggiamento alla solidarietà, ma si sente piuttosto gridare: “Si salvi chi può”», sottolinea l’Arcivescovo parlando di onde della storia anche oggi minacciose.
«La vicenda drammatica di Paolo, con la nave alla deriva nel Mediterraneo, può essere una metafora di tanti momenti della vicenda umana, anche di questo che viviamo».
E come l’Apostolo parlò ai suoi compagni di sventura, così anche oggi «si cercano, per questo nostro tempo un poco agitato e pieno di scoraggiamento, uomini e donne che parlino con autorevolezza».
Ma chi può farlo? La risposta del Vescovo è chiarissima. «Sono uomini e donne che hanno fiducia, che hanno familiarità con Dio e con i suoi angeli. Pregano. Conformano il loro sguardo allo sguardo di Dio. Sono uomini di fede. Hanno una missione da compiere e coltivano l’intima persuasione che Dio non abbandona. Non sono presuntuosi, ma non si sottovalutano. Guardano anche se stessi con lo sguardo di Dio, perché, infatti, frequentano le confidenze del Signore e di fidano. Sono uomini che si fanno carico dei compagni di viaggio. Anche nel pericolo estremo non pensano solo a se stessi, sanno trovare le parole e gli atteggiamenti per incoraggiare gli altri. Non si impongono per una qualche autorità o per un ruolo che è loro assegnato. Eppure sono autorevoli, si fanno ascoltare, non parlano per niente, non sono dominati dalle emozioni e dalle reazioni istintive. Sono gente seria».
Quasi una fotografia di chi fu e rappresentò Lazzati, nato il 22 giugno 1909, giovane docente di Letteratura Cristiana antica in “Cattolica”, ufficiale degli Alpini nella seconda Guerra mondiale che, rifiutando di aderire alla Repubblica Sociale dopo l’8 settembre 1943, venne internato nei Lager tedeschi; padre della Costituente, deputato nella Democrazia Cristiana, giornalista e direttore del quotidiano cattolico “L’Italia”, voluto in questo delicato ruolo da Giovanni Battista Montini; rettore dell’Ateneo dei Cattolici italiani, a partire dal fatidico 1968 per 5 mandati triennali, fondatore di tante diverse realtà, tra cui l’Istituto Secolare “Milites Christi”, poi chiamato “Cristo Re” e riconosciuto di Dirittto Pontificio da Paolo VI nel 1963. Per tanti, ancora e solo il “Professore”, uno di coloro che, per usare ancora le parole di monsignor Delpini, «hanno una visione realistica della situazione, ma non sono inclini alla rassegnazione; sanno indicare ai compagni di navigazione una meta comune che merita di essere raggiunta e sono capaci di far emergere nei compagni di viaggio le qualità e le energie che forse neppure pensavano di avere. Uomini caratterizzati da prudenza e saggezza, che hanno fatto molte esperienze, che non sono sprovveduti, che, seppure hanno passato molto tempo sui libri, non sono intellettuali staccati dalla realtà. E che, come spesso capita a uomini saggi, prudenti, pacati e autorevoli, sono circondati da diffidenza», perché «la gente finisce per fidarsi di persone che propongono soluzioni più conformi alle loro aspettative, anche se le loro aspettative sono sbagliate». Insomma, uomini come Giuseppe Lazzati che insegnò una “fede pensata” e a “pensare politicamente”, come ricorda, in conclusione, il presidente dell’Istituto, al termine della preghiera per la beatificazione del Venerabile, auspicando che possa diventare beato. «Questo è possibile, ne sono testimoni i beati e i santi di questo mese».