«Alziamo il capo, immaginiamo la storia come Avvento», scrive l’Arcivescovo nel testo dell’omelia scritta per la prima domenica del tempo che prepara al Natale
di monsignor Mario
DELPINI
Arcivescovo di Milano
Le preferenze della gente di questo tempo
Le gente del mio tempo è interessata soprattutto alle catastrofi. Le notizie dei disastri sono le più popolari. I racconti di tragedie occupano il tempo, la fantasia, le parole della gente del mio tempo.
La gente del mio tempo e della mia terra è schizzinosa e si tiene lontana dalle discariche che puzzano di squallore e di disperazione. In compenso visita ogni giorno le discariche dove si accumulano racconti di dissesto, parole di discredito, aggiornamenti sui crolli della fiducia, della stima, della speranza.
La gente del mio tempo visita più volentieri i depositi di macerie che l’incanto dei sogni e le musiche della consolazione.
Legge le profezie, ma non arriva fino in fondo. Del profeta Isaia, il profeta dell’Avvento, trova particolarmente suggestive visioni come queste: A pezzi andrà la terra, in frantumi si ridurrà la terra, rovinosamente crollerà la terra (Is 24,19).
La gente del mio tempo si unisce spontaneamente al gemito: «Guai a me! Guai a me! Ohimè! i perfidi agiscono perfidamente, i perfidi operano con perfidia» (Is 24,16b).
La gente del mio tempo trova particolarmente intelligente il pensiero corrosivo e ritiene particolarmente affidabile chi suggerisce di disperarsi e conferma come particolarmente saggio il detto strampalato di quel tale che diceva: «A pensare male si indovina!».
Qualcuno forse spiegherà?
Forse qualcuno mi spiegherà perché la gente del mio tempo preferisca la disperazione alla speranza, preferisca aggirarsi tra le rovine invece che tra i cantieri, preferisca affliggersi per la sorte dei nonni invece che rallegrarsi per i giochi dei bambini.
Forse qualcuno mi aiuterà a capire. Questo clima deprimente è il risultato dell’immensa delusione delle promesse di felicità di cui si sono esaltati i nostri padri? Oppure questa nostra generazione è stremata dal percepire disastri troppo superiori alle possibilità di trovare rimedi? Oppure la gente è stanca, sopraffatta, mortificata per la propria inadeguatezza al compito di vivere e quindi trova sollievo all’idea che la terra barcolla come un ubriaco e che l’umanità sarà travolta dal crollo generale?
Leggere le profezie fino alla verità che vogliono rivelare
Ma noi leggiamo i profeti non per selezionare le immagini che confermano i nostri pregiudizi, ma per lasciarci raggiungere dalla verità che vogliono rivelare.
E la verità delle profezie è nella visione: allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria (Mc 13,26).
La parola di Gesù e la profezia di Isaia raggiungono la gente del mio tempo come un rimprovero, come un invito ad alzare la testa e a non continuare a camminare a capo chino, come chi abita tra le macerie di una città.
Come convinceremo la gente di questo tempo a leggere le profezie fino a condividere le intenzioni del profeta e non solo le immagini congeniali alla propria sensibilità?
E se fosse un Avvento?
Mi piacerebbe insinuare nei discorsi, nei pensieri, nelle fantasie della gente del mio tempo una inquietudine, una domanda: e se questo tempo fosse un avvento? e se fossimo in attesa di qualcuno? e se ci fosse un altro racconto, oltre quello delle catastrofi e della disperazione?
Ecco, il primo passo potrebbe essere intuire che c’è una parola che viene da altrove. La promessa non è una proiezione di desideri, ma la parola dell’interlocutore affidabile. L’invito ad alzare il capo non è l’esortazione retorica di qualche personaggio del momento, ma la vocazione che viene dalla presenza amica di Dio.
Se cominciassimo a immaginare la storia come Avvento, allora potremmo trovare motivo per guardare anche più lontano, per non distogliere lo sguardo dal momento estremo, perché fin là abita la speranza.
Infatti, come tutti muoiono in Adamo, così in Cristo tutti riceveranno la vita:1Cor 15,22.
C’è quindi uno spiraglio di luce nella tenebra scoraggiante: c’è la rivelazione che il Signore combatte contro l’ultimo nemico. Anche l’ultimo nemico, la morte, sarà annientato.
Se irrompe questo spiraglio di luce, allora tutto appare in modo nuovo: la storia è un avvento, cioè ha un senso; il presente non è abitato dall’inventario delle rovine, ma dalla responsabilità di un cantiere; la vita di ciascuno non è una solitudine troppo fragile esposta alla minaccia della morte, ma l’amicizia invincibile che ha la forma della vocazione.