È in nome dei cristiani perseguitati che i vescovi russi, riuniti ai primi di febbraio a Mosca, hanno chiesto di mettere da parte i dissidi per camminare insieme sulla via della pace
di M. Chiara BIAGIONI
Il Papa di Roma che incontra il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie è una di quelle notizie che lasciano con il fiato sospeso tanto sono al di sopra di ogni più razionale e lucida aspettativa. Sono eventi che irrompono nella storia e sono destinati a lasciare un segno per i secoli. Ma anche se appaiono come meteore di luci che attraversano i cieli, sono incontri per nulla improvvisati, frutto di un lavoro costante e paziente compiuto nel corso degli anni dalle diplomazie. Molti dei protagonisti di questa storia sotterranea, mai interrotta, di fraternità e riconciliazione oggi non ci sono più.
Sono anni, forse decenni, che in maniera pressoché periodica i giornalisti bussavano alle porte di Roma e di Mosca per chiedere quanto fosse vicino il giorno di un incontro tra i primati delle due Chiese. Era il sogno di Giovanni Paolo II ma anche dell’allora patriarca Alessio II. I problemi che appesantivano i tavoli di dialogo bilaterale non erano tanti. Forse erano anche sempre gli stessi ma erano pesanti come macigni, a livello soprattutto psicologico. Accuse di proselitismo, la questione dei greco-cattolici e poi negli ultimi due anni la “rivoluzione” ucraina che ha incrinato ulteriormente i rapporti della Chiesa cattolica con la Chiesa ortodossa di Russia. Problemi di natura ecclesiale ma anche politica che hanno sempre accompagnato e disturbato nel profondo le relazioni tra i rappresentanti delle due Chiese.
Ma poi è apparso all’orizzonte un Papa che arrivava dall’altra parte del mondo. Papa Francesco è argentino e rispetto a Giovanni Paolo II è sicuramente più libero di muoversi tra le strade intricate di una Europa che per secoli è stata il palcoscenico di tutte le divisioni dei cristiani. Quando a Istanbul papa Francesco ha incontrato il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha chinato su di lui la testa. E’ stato un atto forte di umiltà che ha provocato, soprattutto nel mondo ortodosso, un’onda d’urto potente che ha bussato in nome di una riconciliazione possibile alle porte di tutti i Patriarcati presenti sulla terra.
Talvolta la storia prende svolte inaspettate. Vale il detto che la realtà spesso supera la fantasia. E la scelta di Cuba come sede dell’incontro dei due Primati (il 12 febbraio, all’aeroporto dell’Avana dove il Patriarca farà scalo nel suo viaggio verso il Messico e il Patriarca sarà in visita ufficiale, ndr.) è una di quelle notizie che riscaldano il cuore. E se poi dietro alla scelta di Cuba, appare un presidente come Raul Castro che a un certo punto, lo scorso anno, ha fatto da spola tra Roma e Mosca, allora anche l’osservatore più severo alza le mani e si arrende alla realtà.
D’altronde, si sa che il dialogo ecumenico è così. Non dipende dalle “previsioni” più fredde. Viaggia nell’imponderabile. Per questo il movimento ecumenico nasce e si sviluppa attorno alla preghiera per l’unità piena e visibile delle Chiese perché sa che questo traguardo – semmai un giorno sarà raggiunto – non sarà merito di un lavoro di diplomazia e di accordi politici ma opera attesa e inaspettata dello Spirito che lavora nella storia.
Ma dietro l’incontro di Cuba, c’è un altro risvolto importante che ha pesato, e fortemente, sulla decisione di realizzarlo. Ed è il genocidio dei cristiani che ogni giorno, da anni, viene perpetrato per mano dell’estremismo, soprattutto nella regione del Medio Oriente. È in nome dei cristiani perseguitati che i vescovi russi, riuniti ai primi di febbraio a Mosca, hanno chiesto di mettere da parte dissidi e incomprensioni per camminare insieme a Roma sulla via della pace. L’incontro di Cuba porta dunque il “timbro” del dolore patito da un popolo e si realizza sotto l’egida di quell’ecumenismo del sangue tante volte evocato da papa Francesco.