Tra i risvolti più significativi del pellegrinaggio dai giovani preti ambrosiani in Ucraina c’è l’intensa esperienza di fraternità sacerdotale, che trae origine dall’Eucarestia e fa riconoscere parte di un unico presbiterio intorno al proprio vescovo
di monsignor Paolo
MARTINELLI
Vescovo ausiliare e Vicario episcopale
A Kiev, capitale della martoriata e spesso dimenticata Ucraina, il pellegrinaggio dei sacerdoti dei primi 10 anni di ordinazione della nostra diocesi è stato davvero qualcosa di particolare, una esperienza di quelle che possono incidere profondamente nella vita.
Abbiamo vissuto momenti intensi: dall’incontro con il ministro degli Esteri dell’attuale governo ucraino ai numerosi dialoghi con il Nunzio apostolico monsignor Claudio Gugerotti, fino alla mattinata trascorsa con i monaci ortodossi della Lavra, passando attraverso la testimonianza dei protagonisti dell’azione umanitaria voluta da papa Francesco per i territori segnati dalla guerra nelle regioni orientali, il dialogo con i giovani universitari, il racconto dell’Arcivescovo maggiore dei greco cattolici e il dialogo sincero con alcuni loro sacerdoti.
Ma la cosa più evidente è stata la fraternità tra i nostri giovani preti; vederli profondamente coinvolti in ogni gesto e in ogni incontro. Mi ha colpito la loro capacità di vivere insieme i diversi momenti: ascoltare una meditazione, fare silenzio insieme, pregare insieme, gioire e far festa insieme. Una bella immagine di fraternità sacerdotale l’abbiamo avuta in particolare nel dialogo vissuto in una delle sere con l’Arcivescovo, condividendo i desideri e le preoccupazioni per il presente e il futuro dell’azione pastorale della nostra diocesi. Si tratta di segni importanti di un cammino che rende i nostri giovani preti più consapevoli di essere innanzitutto una fraternità presbiterale, riconoscendosi parte di un unico presbiterio intorno al proprio vescovo. Abbiamo avuto così un’immagine concreta di quanto affermato dal Concilio Vaticano II: «Tutti i presbiteri, costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti tra di loro da un’intima fraternità sacramentale» (Presbyterorum Ordinis 8).
Riprendendo un pensiero caro al cardinale Scola, l’arcivescovo Mario Delpini ha richiamato fin dall’inizio l’importanza di riconoscersi, anche nel pellegrinare, come presbiterio. Essere sacerdoti, infatti, vuol dire essere in una fraternità presbiterale, in cui ci riconosciamo per grazia “presi a servizio”. La consapevolezza di appartenere al presbiterio, arrivando a declinare questo dato nella vita quotidiana del sacerdote, è indubbiamente il cuore di quella “riforma del clero” di cui c’è grande necessità per poter far fronte ai grandi cambiamenti che stiamo attraversando.
L’icona più forte di questa fraternità presbiterale l’abbiamo vissuta in particolare nelle celebrazioni eucaristiche, sempre ben curate nei gesti, nelle parole e nel canto: qui troviamo in effetti la sorgente della fraternità sacerdotale. Nella celebrazione eucaristica possiamo toccare con mano che la comunione è un dono, ci precede, e chiede alla libertà di ciascuno di fare in modo che diventi forma della vita e dell’azione pastorale. I nostri giovani presbiteri ce ne stanno dando testimonianza.