L’impegno della prossima Beata per finanziare la nascente Università cattolica e per ricostruire gli edifici distrutti dai bombardamenti
di Luca
Diliberto
È noto che il sorgere di una università “dei cattolici” sia stato il risultato di un azzardo dovuto alla responsabilità di un pugno di visionari che, nel difficilissimo periodo storico tra le due guerre, sognarono di innalzare un monumento vivente alla cultura e agli studi superiori.
La “cassiera”
Tra loro (padre Gemelli, primo rettore, Ludovico Necchi, monsignor Olgiati, poi Ernesto Lombardo e Piero Panighi) spicca la presenza di una donna, Armida Barelli, in quegli anni straordinari per lei, già immersa nella fondazione della Gioventù femminile, a Milano e nel resto d’Italia. E quando l’Università, dedicata al Sacro Cuore, il 7 dicembre 1921 venne solennemente inaugurata nella sua prima sede, nell’aula magna di via Sant’Agnese a Milano, davanti alle massime autorità civili ed ecclesiali, fu lei a prendere la parola dando conto di come, quasi per miracolo, fossero stati trovati i fondi per l’acquisto di quei locali, lei che ricorderà in maniera puntuale la concretezza di fatiche per arrivare sin lì. D’altro canto, Armida Barelli era la “cassiera” e per questo aveva bussato a tutte le porte perché l’Università potesse iniziare la sua storia. E così fu per tutti gli anni Trenta, quando aumentarono di numero gli iscritti e i corsi, tanto che si dovette procedere a un nuovo gigantesco investimento, per l’acquisizione e trasformazione dell’area dell’ex convento cistercense accanto alla basilica di S. Ambrogio.
«Lo rifaremo!»
Ma la vita alterna spesso successi e disastri e mette a rischio i sogni; infatti, un giorno terribile per la città, il 15 agosto 1943, a causa di un bombardamento intensissimo, anche un’ala della Cattolica fu colpita e distrutta. Da Marzio, dove si trovava, Armida Barelli era corsa a vedere il danno enorme provocato. Cadute le bombe nella notte, ancora si alzavano alte fiamme dalla zona stracolma di carte, dove avevano sede molte delle istituzioni a lei legate: la presidenza della Gioventù femminile, l’Opera della Regalità, la società Vita e Pensiero e anche il suo appartamento e tutto il suo archivio. Ma la sua fede in Dio, la fiducia nel Sacro Cuore, moltiplicarono il suo impegno, come quello di padre Gemelli. Guardando l’edificio insieme allo stesso cardinal Schuster, tutti e tre trovarono la forza di ripetersi: «Lo rifaremo!».
E tornarono così, nei tristissimi anni di guerra, a cercare aiuti per far ripartire l’Università, per non bloccarne il percorso. Incredibile scoprire che già nel 1943 le offerte raccolte nell’annuale giornata fossero superiori a quelle dell’anno precedente. Si poteva ricominciare: Gemelli, pure malato, tra i chiostri a seguire i lavori, e Barelli, pur conscia dei problemi quotidiani di una nazione in guerra, si inventò di tutto pur di racimolare altri aiuti economici. Fu una lezione straordinaria, forse la più incredibile tra le tante che vennero fatte nei chiostri di una università che per lei doveva soprattutto essere «più che di pietra, fatta di cuori».