Il cammino diocesano dal «Farsi prossimo» alla «Chiesa dalle genti», nel contesto di una trasformazione epocale, analizzato da monsignor Bressan nel convegno della Facoltà teologica dedicato alla fede nello spazio pubblico
di Annamaria
Braccini
Come il cristianesimo sta cambiando forma in Europa? È l’interrogativo con il quale si è aperto il convegno annuale della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, dal titolo «La possibilità della fede. Testimoniare il Vangelo nello spazio pubblico». Un tema importante, che chiama alla responsabilità i credenti, di fronte a un’evidente trasformazione sia nella società in generale, sia all’interno della comunità cristiana, intenta spesso più a “contarsi” che a essere incisiva e propositiva.
Essere Chiesa nella modernità
Insomma, per usare le parole iniziali del preside della Facoltà, don Massimo Epis, «com’è possibile una fede profonda e duratura in un contesto di legami deboli? Il dato sociologico della crisi dell’appartenenza e della rilevanza mette in questione l’identità missionaria della comunità ecclesiale, il compito stesso di essere Chiesa nella modernità».
E se l’auspicio era quello «di offrire un contributo alla profezia necessaria per il nostro tempo», l’obiettivo è certamente stato raggiunto attraverso le relazioni che hanno aperto lo sguardo sull’orizzonte nazionale, connotato da ciò che Giuseppe Giordan, docente di sociologia all’Università di Padova, ha definito lo «spaesamento attuale». «Non è scomparso il credere, anzi, potremmo dire che è “esploso”: si ha bisogno di credere in qualcosa, ma sembra non esserci più un luogo in cui sia possibile farlo insieme e farne un’esperienza significativa. Tale inadeguatezza e/o irrilevanza delle istituzioni del credere è percepita anche da coloro che sono aperti a un’esperienza di fede autentica e impegnata», ha proseguito Giordan, che ha indicato come ambiti particolarmente problematici quelli della parrocchia, dell’iniziazione cristiana e della formazione al Ministero ordinato.
I contesti francese e di lingua tedesca
La prospettiva internazionale è stata offerta dai contributi di Celine Béraud, direttrice dell’École des Hautes études en Sciences sociales di Parigi, e di Annemarie Mayer, docente di Dogmatica nella Facoltà Teologica di Trier.
Laddove in Francia «nel 1981 sette persone su dieci si dichiaravano cattoliche e solo il 32% lo faceva nel 2018, con una contrazione globale accompagnata a una pluralità di modi di appartenenze e una disaffezione generale a cui ha contribuito (e non poco) la questione degli scandali sessuali amplificati dal “Rapporto Sauvé”», in Germania, come pure nell’intera area linguistica tedesca, il ruolo delle Chiese cristiane all’interno della società viene oggi «fondamentalmente messo in dubbio». «La religione è in aumento, anche se non più in forme stabilite come le Chiese o le istituzioni religiose organizzate. Alla luce degli sviluppi più recenti, concetti come quello di “modernità multiple”, o anche di post-modernità multiple, diventano sempre più plausibili», ha osservato Mayer.
«Gli scandali sessuali stanno dando origine a comportamenti di protesta con cui i cattolici intendono mostrare la loro disapprovazione. Questa protesta interna prende la forma di pratiche individuali, spesso silenziose, ma che possono fare rumore quando incontrano l’interesse dei media, o collettive quando si iscrivono in dichiarazioni militanti», ha sottolineato da parte sua Béraud, declinando tale protesta a tre livelli: «Non avallare più l’identità cattolica, non dare più denaro alla Chiesa, non andare più a Messa».
Da «Farsi prossimo» a «Chiesa dalle genti»
Dall’interessante case study rappresentato dalla Diocesi di Milano ha preso avvio la comunicazione di monsignor Luca Bressan, vicario episcopale e docente di Teologia pastorale in Facoltà. «Come reagisce una Chiesa locale al cambiamento d’epoca che la tocca da vicino? Quale consapevolezza ha saputo sviluppare? Quali le fatiche, ma anche le risorse e gli strumenti messi in campo per stare dentro una trasformazione della propria forma che si svela sempre più radicale? Quale futuro per quel “cattolicesimo popolare” che è ancora una rappresentazione molto viva nelle menti e nei cuori di tanti cristiani?»: questi gli interrogativi proposti dal relatore nel riferimento al grande convegno di Assago «Farsi prossimo» del 1986.
Un punto di snodo «da cui nascono le Scuole sociopolitiche e sulla cui scorta le Caritas sul territorio vengono invitate a creare i Centri di ascolto», ma soprattutto «convegno che diventa così importante perché arriva al temine di un cammino pensato come ciò che poteva far sintesi di un percorso che il cardinale Martini aveva già immaginato con la Lettera pastorale del 1985 che portava lo stesso titolo». L’assise – oltre 2000 delegati dalle parrocchie impegnati in decine di commissioni – «però cambia di faccia, come si evince dagli appunti di Martini, che lo aveva pensato come quel luogo che avrebbe permesso alla Diocesi di cambiare passo, scendendo in profondità in ciò che l’allora Arcivescovo, già nella sua Lettera, definiva un cambiamento epocale», spiega Bressan, che aggiunge. «È un corpo che cerca di leggersi, ma non arriva forse a quel “colpo d’ala”, come Martini intitolerà un suo articolo a proposito del Sinodo 47esimo, 10 anni dopo».
«Il cardinale Martini costruisce il convegno come un dispositivo linguistico che consenta alla Chiesa ambrosiana di prendere coscienza della trasformazione epocale che sta vivendo, per poterla abitare e trasformarla, per dare forma rinnovata al tratto distintivo della sua identità cristiana: il carattere popolare». Dove, allora, si situa la difficoltà di una completa e consapevole ricezione ecclesiale dell’assise del 1986? «Nella fatica a vederne il disegno sintetico, con una sfida che verrà poi raccolta dai “Cantieri aperti” del cardinale Tettamanzi, pur permanendo la distonia tra come ci immaginiamo e come siamo».
Tuttavia, un lascito rilevante di questo tribolato percorso c’è: «La capacità di immaginazione», come testimonia il Sinodo minore «Chiesa dalle genti» del 2018, «frutto di una capacità immaginativa ormai residente nel corpo ecclesiale». Tre le regole interpretative in tale logica.
Una Chiesa capace di immaginarsi
«L’immaginazione ci serve perché dobbiamo tornare a riprendere la parola, altrimenti il rischio è che le dinamiche di funzionamento del corpo non permettano più i legami. Bisogna tornare alla memoria fondatrice con il suo potenziale antropologico e fecondante. Il seme e la parola, il terreno e la coscienza: la responsabilità è accendere percorsi di parola».
«In un momento di cambiamento di forma, occorre che il corpo tenga sotto occhio il proprio ruolo, avendo regole, ma non facendosi sottomettere dalle regole, trasformando il corpo stesso in un corpus di leggi». Basti pensare alla necessità di comprendere per chi e non solo perché si fa qualcosa. Chiaro il riferimento all’attività caritativa della Chiesa ormai interpretata dai più «come una forma di aiuto allo Stato sociale».
Infine, la terza sfida: «Ritornare al centro leggendo la trasformazione in atto con una temporalità del corpo ecclesiale che non sempre corrisponde al tempo reale».
Da qui le conclusioni di monsignor Bressan: «Martini immagina il “Farsi prossimo” come il corrispettivo laico del concetto di santità popolare. In questo momento di passaggio bisogna prendere coscienza del cambiamento cogliendo la forza della Chiesa di popolo. È interessante proiettare questa visione a oggi perché abbiamo necessità di trovare luoghi dove vivere questo mutamento. È in atto una trasformazione culturale che chiede di rigiocarci: pensiamo ai nuovi spazi che si stanno costruendo – con gli avveniristici quartieri del nuovo skyline di Milano -, ma dove noi non ci siamo. Il Sinodo in questa logica può diventare quel dispositivo comunicativo, per usare una terminologia martiniana, che ci permette di confrontarci con il presente».
Fondamentale, in questo, il dominicum – il «senza domenica non possiamo vivere» -, l’eucaristia come modo di dire al mondo una presenza diversa», perché «la dinamica eucaristica è la custode dei tratti essenziali di ogni forma di Chiesa».
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