Maurizio Roccella, tra gli otto che saranno ordinati sabato 10 novembre in Duomo, spiega così la sua decisione di intraprendere il cammino verso il diaconato permanente
di Ylenia
Spinelli
«La vocazione è una risposta che nasce da una inquietudine che ci spinge a camminare con più vigore verso la comunione con Dio». Così Maurizio Roccella, sposato, padre di due figli e insegnante di Educazione fisica in un istituto superiore di Milano, spiega la sua decisione di intraprendere il cammino verso il diaconato permanente. «È una chiamata che si percepisce nel proprio cuore – prosegue -. Io l’ho avvertita alcuni anni fa, quando un sacerdote è entrato in casa per le benedizioni natalizie e, dopo il saluto, mi ha chiesto se fossi un diacono. Da quel momento ho intuito che la vita doveva prendere la forma di una risposta a questa inquietudine, a questa chiamata».
Il passo successivo è stato quello di condividere la decisione con moglie e figli e di capire quale poteva essere l’impatto nella vita di tutti i giorni, fino ad arrivare alla conclusione che già nella quotidianità di una famiglia si sperimenta una dimensione di servizio che predispone alla vocazione diaconale. «Inoltre il servizio svolto da me in Caritas ci ha aiutato molto nell’ottica dell’arricchimento reciproco, di qualcosa che non è vissuto come scelta, ma come affidamento a un dono e come tale da condividere in famiglia», precisa.
Da 12 anni, l’ormai prossimo diacono, è molto impegnato in parrocchia, a Bresso, in esperienze di carità e servizio per gli anziani, gli stranieri, le famiglie; anche nell’ambiente di lavoro ha sempre cercato di testimoniare il Vangelo: «Per me, insegnante, vivere la mia vocazione significa primariamente saper ascoltare e stare accanto, in tutte quelle circostanze che lo richiedono, come un collega in difficoltà o un ragazzo che vuole abbandonare la scuola».
Rimettersi sui libri, seguire i corsi in Facoltà e dare gli esami, superati i cinquant’anni, per Roccella non è stata una passeggiata, ma è lui stesso ad ammettere che «il tesoro di conoscenza che la Teologia offre permette una migliore comprensione del mondo culturale e sociale in cui siamo inseriti e consente di dialogare con tutti, anche con i non credenti».
La bellezza del cammino diaconale, che dura sei anni, è data anche dalla fraternità. Il diacono è inserito in una comunità costituita da altri aspiranti e candidati e Roccella racconta di aver vissuto intensamente le giornate di ritiro, preghiera, studio, meditazione e condivisione. Ora che il cammino volge verso il ministero per lui tante sono le speranze: «La prima è testimoniare sempre con il “noi” perché noi siamo quello che abbiamo condiviso con altri, per questo dobbiamo passare dalla logica del “dare” a quella del “restituire”. Secondariamente, da diacono vorrei vivere tutte le mie relazioni non per portare amore, ma per essere amore».