Don Matteo Monticelli, novello sacerdote, ha avviato il suo ministero nel Decanato di Bollate serbando nel cuore la raccomandazione dell’Arcivescovo di non nascondere le proprie debolezze. Ma anche la determinazione a «donare ai miei parrocchiani ciò che ho ricevuto immeritatamente da Dio»

di Ylenia Spinelli

Matteo Monticelli
Don Matteo Monticelli

Non nascondere povertà e debolezze. Di questa raccomandazione dell’Arcivescovo, durante l’omelia della Messa di ordinazione, farà sempre memoria don Matteo Monticelli, novello sacerdote, originario della parrocchia di San Vittore Martire a San Vittore Olona (Mi). «Perché un prete non è un superuomo», afferma, ben conscio che si è sempre in cammino con i propri limiti e debolezze. Poi don Matteo si sofferma su un altro punto per lui molto significativo dell’omelia di mons. Delpini, quell’essere «servi dell’inquietudine». E a tal proposito aggiunge: «Dobbiamo risvegliare i desideri grandi delle persone che incontreremo e che ci saranno affidate, non bisogna appiattirsi sul già noto, il già detto o il luogo comune e questo vale in primis per me».

Anche per don Matteo, come per gli altri compagni di ordinazione, questi sono giorni di grandi gioie ed emozioni. «La festa per me è cominciata sabato sera nel mio oratorio – dice-, dove gli adolescenti mi hanno preparato un musical davvero significativo sul tema della vocazione, mettendo insieme le loro storie e la mia». Il titolo era “Don Mateo”, con un T sola, perché così il novello prete veniva chiamato dal suo allenatore di calcio, Pinuccio, presente, insieme ai familiari e ai tanti amici di lunga data, il giorno della sua prima Messa, domenica scorsa a San Vittore. Il momento più emozionante per don Matteo sono stati i ringraziamenti finali, in cui ha ricordato gli anni di Seminario, una fase che considera «di passaggio», ricca di domande, timori, paure, ma anche di cose belle che hanno contribuito a fare chiarezza nel percorso di discernimento. Presenti alla celebrazione anche due suoi educatori in Seminario, don Luca Castiglioni e don Luigi Panighetti. «Più che nella mia prima Messa – aggiunge – il momento della consacrazione l’ho vissuto con grande emozione il giorno dell’ordinazione in Duomo, quando ho ripetuto le parole di Gesù nell’Ultima Cena con l’Arcivescovo e i miei compagni. Lì ho capito davvero che stavamo celebrando qualcosa di grande».

Le emozioni, gli auguri e la festa che da sabato scorso hanno caratterizzato la prima settimana da prete di Matteo, gli hanno un po’ impedito di realizzare appieno il dono grande ricevuto. «Ho iniziato a pensarci un paio di giorni fa – confessa -, quando mi sono tornate alla mente le parole del padre spiritale don Maurizio Zago, che ci diceva che questi eventi sono “grazie sorgive”, che porteranno frutto negli anni».

La prima settimana l’ha trascorsa nel paese natio, dove ha celebrato diverse Messe. Mercoledì invece ha concelebrato a Garbagnate Milanese con i preti del decanato di Bollate, sua destinazione pastorale. «Bollate in questi giorni sta vivendo una duplice festa – continua don Matteo -, non solo per me, ma anche per il mio compagno don Simone Marani che è originario di lì».

Dopo la prima Messa di domenica nella parrocchia di San Martino, don Simone inizierà il suo ministero con i bambini dell’oratorio estivo. «È una parrocchia numerosa con più di 20 mila abitanti, che mi ha accolto con grande disponibilità – dice -. Ora tocca a me donare ai miei parrocchiani ciò che io ho ricevuto immeritatamente da Dio».

Tra i tanti regali ricevuti per l’ordinazione, don Matteo cita il quadro che il suo parroco, don Davide, ha commissionato per lui a un artista libanese. «In primo piano c’è il padre misericordioso della parabola da cui abbiamo tratto il nostro motto, che abbraccia non solo il figlio minore che se ne era andato, ma anche il maggiore; sullo sfondo è invece rappresentata la cacciata dal Paradiso terreste. Il peccato è contrapposto al ritorno del figliol prodigo e al perdono, temi su cui non mi stancherò di riflettere nel ministero».

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