«Una casa anche per te» è la comunità fondata da don Mapelli. In visita l’Arcivescovo consegna gli attestati per favorire inserimenti negli studi e nel lavoro. «Mettete a frutto i vostri talenti»
di Annamaria
BRACCINI
«Vi voglio dire, anzitutto, il mio incoraggiamento perché cambiare cultura, cambiare Paese, essere lontani dai familiari può essere davvero difficile e triste. Il trasferimento culturale è sempre una prova e un allargamento di orizzonti, quindi, un entrare nella vita».
Dice così l’arcivescovo a 7 ragazzi e 2 ragazze, che provengono da diverse parti del mondo, consegnando ad alcuni di loro, simbolicamente, degli attestati che, nel sottolineare il loro valore, si spera possano aiutarli in ulteriori cammini di inserimento negli studi e nel lavoro. Ad accompagnarli è don Massimo Mapelli che vent’anni fa ebbe l’intuizione di fondare la comunità «Una casa anche per te»; non mancano alcune persone che, da anni, accompagnano i percorsi di inserimento dei ragazzi. Tutti quelli rappresentati dai 9 a cui si rivolge ancora l’arcivescovo. «Il vostro modo di rendere grazie deve essere quello di mettere a frutto i talenti. Dovete vivere la vita, non come una carriera per realizzare soltanto i vostri sogni, ma come una vocazione a condividere». Chiarissima la sua indicazione per il domani. «C’è una logica che intende l’investimento solo come profitto per sé stessi e una logica che, invece, intende l’investimento di tempo, di risorse, di mezzi, come una seminagione che fa bene a tutti e alla società nel suo complesso. Vorrei esprimere questo incoraggiamento», conclude l’arcivescovo che ascolta le brevi storie di giovani esistenze iniziate in salita, ma che si aprono a un sorriso e a un avvenire migliore.
Così come il prete ambrosiano don Mapelli ha sempre inteso gli obiettivi della sua missione. Infatti, sottolinea: «In ciascuna realtà ho sempre voluto che abitasse una famiglia, che vi fossi io e altre persone che hanno scelto di stare in comunità insieme a questi ragazzi. Questo è fondamentale perché permette loro di sentirsi a casa, di avere una famiglia di riferimento. Non è scontato che ragazzi arrivati da percorsi come quelli dei viaggi della speranza, vissuti a 12-13 anni, riescano a integrarsi, a studiare, a fare la maturità o l’università; se si riesce, è perché c’è stato, a monte, un investimento educativo molto forte». Quello, evidente anche solo nei numeri della «Casa» che, oggi, a Zinasco in provincia di Pavia, accoglie 26 minori, una decina di maggiorenni che continuano a rimanere vicini alla Onlus. Comunità che può contare anche su appartamenti che vengono da beni confiscati alle mafie dove vivono nuclei familiari o ragazzi, diventati adulti e già impegnati nel lavoro. C’è anche la cooperativa sociale Madre Terra. In tutto oltre un centinaio di persone. Un impegno non da poco – anzi – anche dal punto di vista del mantenimento dei giovani, magari agli studi o nella ricerca di lavoro e tirocinii. Per questo è importante considerare gli attestati come una sorta di riconoscimento per partire con ancora più entusiasmo.
«Abbiamo bisogno di tutti, anche se già tante persone si impegnano, come Raffaele Bonaiuti – tra i presenti all’incontro con altri – che si incaricano di coinvolgere e sensibilizzare facendo conoscere le storie dei nostri ragazzi e che hanno dato vita a 2 percorsi di inserimento lavorativo e a 2 di borse di studio», conclude don Massimo che, con orgoglio, racconta di chi, l’anno prossimo, varcherà i portoni dell’università, di chi l’ha già fatto frequentando atenei prestigiosi, e di chi lavora con soddisfazione, magari facendo il cuoco della comunità.