Redazione

A Betlemme – oggi più che mai immersa in un forte stato di tensione e di violenza, che non sappiamo dove potrà condurre – la Crèche della Santa Famiglia è un asilo di pace per bambini abbandonati. Da più di un secolo la Crèche accoglie piccoli in difficoltà e che vivono nella miseria. Con la costruzione del muro da parte di Israele e la moltiplicazione dei posti di blocco, questa opera delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli è divenuta ancor più necessaria e grida continuamente giustizia.

di suor Sophie Bouéri
Figlia della carità

Attualmente la Crèche accoglie 115 bambini: una cinquantina di loro abitano stabilmente all’interno della struttura. Sono bambini che vivono nella miseria, picchiati, malnutriti, talvolta violentati, gettati fuori di casa dalla loro stessa madre o dalla nonna. Bambini testimoni della tragica morte di uno o di entrambi genitori. Bambini abbandonati sulla strada. A causa dei controlli cui siamo soggetti da oltre un anno, ci è assolutamente vietato affidare un bambino a una famiglia cristiana: solo le coppie musulmane hanno diritto ad accoglierli. Ma nel mondo islamico non si parla di adozione, si tratta solo di tutela: il bambino non porterà mai il cognome del papà, non avrà mai accesso all’eredità e per tutta la sua vita sarà privo di qualsiasi diritto.

Accogliamo anche donne in difficoltà. Bisogna infatti sapere che le giovani vedove o divorziate rischiano la vita se partoriscono un bambino al di fuori del matrimonio. Da una quindicina d’anni abbiamo un piccolo appartamento dove le ospitiamo. Diamo loro un lavoro retribuito, affinché possano giustificare la loro assenza da casa al padre e ai fratelli. Oggi, a causa del blocco dei villaggi da parte dei militari, queste ragazze hanno grosse difficoltà a scappare: per questo partoriscono clandestinamente, abbandonando il neonato per strada, vicino alle fognature e spesso nei cassonetti dell’immondizia. Proprio qualche giorno fa abbiamo raccolto un neonato abbandonato sulla strada: era prematuro e pesava due chili, si trovava in condizioni pietose.

Con la costruzione del muro la situazione è ulteriormente peggiorata e adesso è a livelli drammatici; molto più che durante la stessa occupazione della Basilica della Natività nel 2002. Questo muro è un’offesa alla dignità dell’uomo, per non parlare dell’umiliazione e della pesante ironia di cui si è quotidianamente fatti oggetto ai posti di blocco. Il muro ha privato della libertà e causato disoccupazione. Queste ingiustizie mettono la gente in ginocchio e la costringono a lasciare il Paese. In un contesto del genere, i problemi, materiali e morali, non si contano e tutto ciò diventa fonte di violenza e di odio.

Non riceviamo alcun aiuto da parte del Governo. Da quando sono arrivata a Betlemme – diciassette anni fa, ai tempi della prima Intifada – i contributi ricevuti dal Ministero palestinese dei Servizi sociali ammontano in totale a 38 mila shekels (690 euro). Spesso ci sentiamo anche incompresi. Ci accusano di incoraggiare le giovani madri a prostituirsi, quando invece vogliamo solo proteggerle. La nostra unica fonte di sostentamento è la Provvidenza, espressa attraverso la generosità dei benefattori. È bello e rassicurante avere amici che sostengono la nostra opera, con cui possiamo parlare e condividere le nostre esperienze. L’aiuto finanziario è una sicurezza per noi e una garanzia per la vita dei bambini. Senza il sostegno di tutti i nostri benefattori, come potremmo rispondere a tanti bisogni?

Il futuro ci appare piuttosto buio. Ma per noi l’importante è oggi, perché i bambini ci insegnano a vivere ogni momento del presente. Amiamo, amiamo… senza tregua. È terribilmente difficile, ma è la nostra missione. Attraverso quest’opera noi possiamo collaborare con il Signore. La nostra missione a Betlemme è l’Amore di un Dio che si manifesta in tutto il suo splendore.

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