La moderatora della Tavola valdese: «Possiamo intervenire con una voce unica e in modo coerente su temi “impopolari”, come l’accoglienza e i diritti degli ultimi»
di Annamaria
Braccini
La diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese, terrà la predicazione della celebrazione di apertura della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani sul versetto evangelico di Matteo scelto quest’anno. Alla serata, in programma martedì 18 gennaio presso la chiesa di Santa Maria della Sanità alle 18.30, parteciperà l’Arcivescovo. È lei che spiega: «Sono diversi anni, ormai, che il dialogo ecumenico sta trovando strade di rafforzamento, sia nella pratica ecumenica in favore dei giusti, sia nella capacità di rinvenire temi cruciali da affrontare con una voce unica come cristiani, cosa che non è sempre stata così scontata».
Quali sono questi temi?
I diritti degli ultimi e l’accoglienza, per esempio, che non ci rendono molto popolari, anzi, sui quali si perdono consensi. Tuttavia, come Chiese cristiane in particolare, e nel dialogo con la Chiesa cattolica, troviamo sempre di più le vie, il modo, la coerenza della testimonianza e la capacità di esprimerci in modo, appunto, coerente.
Secondo lei qual è l’ambito su cui è più urgente confrontarsi tra confessioni cristiane?
È quello del modello di società che vogliamo, di fronte a una frammentazione sociale sempre più profonda. Credo che tutti sentiamo un ribollire di rabbia e frustrazione che blocca il dialogo tra le persone, chiudendole in gruppi sempre più competitivi e arrabbiati. Ritengo che, come cristiani, abbiamo molto da dire, molto da fare, portando “anticorpi” capaci di attrezzarci sempre più a cogliere un ruolo positivo, perché le comunità riescano a vivere nella pace, nel rispetto reciproco, nella solidarietà.
Le Chiese possono giocare un ruolo fondamentale in questo senso?Sono sempre più convinta che in tema di dialogo, in particolare le Chiese storiche, che hanno anche nell’elemento dell’istituzione una caratterizzazione fondamentale, sembrano pagare di più. Abbiamo un compito comune: resistere a questa sfiducia complessiva nei confronti delle istituzioni che mette in pericolo la democrazia e cerca forme di rassicurazione, di consolazione nei rapporti diretti con capi carismatici che dividono il mondo tra bianco e nero. È una deriva pericolosa. Talvolta perfino le Chiese così stanche si interrogano sul proprio destino. Noi, invece, abbiamo qualcosa di importante da dire e vale la pena continuare a proporre un percorso di fede che, nella storicità dell’Incarnazione e nella componente istituzionale, testimoni elementi rilevanti.