Titolo provocatorio scelto per l’incontro organizzato da Caritas Ambrosiana in via San Bernardino a Milano. Storie di donne attraverso un video e riflessioni sul fenomeno a partire dall’esperienza di “Avenida”
di Luisa BOVE
In Italia dalle 30 alle 50 mila donne, giovani ragazze, per lo più straniere, si prostituiscono in strada. “Lavorano”, producono guadagni, ma devono stare zitte. Non possono reclamare diritti (spesso sono in Italia illegalmente), non possono rifiutarsi di andare in strada e non hanno molte occasioni per parlare. A dare loro voce e a offrire un’occasione di riflessione su un fenomeno, quello della prostituzione, troppo spesso banalizzato come il «mestiere più antico del mondo» sarà l’incontro «Lavora e stai zitta. Tratta e prostituzione tra parole e immagini», in programma martedì 18 ottobre, dalle 18.30 presso la sede della Caritas Ambrosiana (via San Bernardino 4, Milano).
Le operatrici dell’Unità di Strada Avenida racconteranno le storie delle donne che incontrano uscendo di notte lungo i viali di Milano. La loro testimonianza è un’occasione preziosa per capire il fenomeno al di là di banalizzazioni e luoghi comuni, sulla presunta “libertà” di scelta delle donne. L’Unità di strada Avenida (una coordinatrice, 2 educatrici part- time, 15 volontari) è un servizio delle cooperativa Farsi Prossimo, promosso da Caritas Ambrosiana. Incontra le donne che si prostituiscono in strada sul territorio della città di Milano allo scopo di offrire relazioni gratuite, favorire la cura della loro salute e sostenere l’eventuale scelta di abbandonare la strada. L’attività si svolge con due uscite settimanali in orario notturno durante le quali viene distribuito il materiale informativo in nove lingue, si offrono informazioni e orientamento alle donne: azione propedeutica anche ai successivi accompagnamenti presso servizi sanitari pubblici e del privato sociale e all’inserimento nelle comunità protette.
Il titolo dell’incontro del 18 ottobre è provocatorio, ma non di fantasia. A pronunciare questa frase, spiega infatti Nadia Folli, operatrice di Avenida, «è una ragazza che racconta la sua condizione e quella di tante altre donne costrette a lavorare in strada e a tacere». L’idea invece è di dare voce proprio a loro, a partire da un documentario realizzato da una regista insieme a un’associazione di Bologna attraverso le interviste ad alcune ragazze. «Sono storie di donne, vittime di tratta, che avevano vissuto lo sfruttamento sessuale e che ne stavano uscendo o ne sono già uscite».
Il documentario è stato utilizzato durante la formazione dei volontari e agli incontri con gruppi adolescenti nelle parrocchie, ma ora verrà proposto a livello diocesano. Per la verità gli organizzatori prenderanno solo le interviste delle ragazze che alterneranno con testi preparati ad hoc. Da qui il sottotitolo «Parole e immagini». «Per non fare il solito intervento di presentazione del fenomeno – dice Folli – abbiamo pensato di dare voce alle storie delle donne estrapolandone quattro dal documentario, poi con l’aiuto di una volontaria (giornalista) abbiamo scritto alcuni testi che verranno letti durante l’incontro. Prendiamo spunto da alcune parole chiave che pronunciano le donne e poi descriviamo il fenomeno con un linguaggio divulgativo. Vogliamo sensibilizzare ed essere efficaci, pur sapendo che stiamo parlando di un fenomeno complesso, mentre spesso viene banalizzato e semplificato».
Sarà anche l’occasione per spiegare l’impegno di Caritas Ambrosiana in questo ambito e in particolare della sua Unità di strada. Folli, che aveva iniziato come volontaria e ora opera con le donne in strada, assicura che i racconti del video girato a Bologna potrebbero essere gli stessi ascoltati a Milano o a Roma. Storie diverse, ma simili allo stesso tempo.
Nel documentario la ragazza nigeriana parla del lungo viaggio attraverso la Libia, della sua situazione, dei sogni che aveva quando è arrivata. Oltre a lei parlano una moldava, una rumena e una russa. «Io che esco con l’Unità di strada da 15 anni – continua l’operatrice – posso dire che le donne affermano: “Sto lavorando!”. Ma dirlo per loro significa distinguere tra se stesse e il lavoro. Come a dire: “Un conto sono io e un conto è il lavoro di prostituzione”. È un modo per dissociarsi, per prendere le distanze, perché questo non è un lavoro come un altro. E le donne lo sanno. Poi è vero che producono guadagni, ma se lo consideriamo un lavoro, come fa la Germania, poi rischiamo di non interrogarci più rispetto alle conseguenze della prostituzione».
Il tema del «lavoro» sarà dunque affrontato martedì cercando di rispondere alle domande: possiamo dire che la prostituzione è un lavoro? Quali diritti hanno le donne? Di fronte a chi le vorrebbe zitte, la Caritas dà loro voce, non solo attraverso il video, ma anche sulla strada. «Negli incontri con noi, a poco a poco, le donne iniziano a parlare, a farsi conoscere – assicura Folli -. Cerchiamo di avere una relazione normale, gratuita, che diventa anche educativa, di cambiamento per noi e per loro. Il nostro approccio è di vicinanza, poi lavoriamo sui diritti e sull’empowerment di queste donne. La loro dignità noi la diamo per scontata. La relazione educativa porta a cambiamenti e fa crescere le donne che, nel tempo, riescono a prendere decisioni di fuoriuscita, non solo attraverso l’art. 18 sullo sfruttamento, ma a volte anche con percorsi di distacco dalla prostituzione che riescono a fare da sole e in modi diversi».