Don Luca Ciotti, parroco a due passi dalla Svizzera, deve fare i conti con giovani che se ne vanno per studiare, lavoratori troppo impegnati e fedeli da “stanare”. Ma non perde fede e speranza
di Ylenia
Spinelli
Agli estremi confini della Diocesi, tra la provincia di Varese, il lago Maggiore e la Svizzera. È qui che dal 2018 don Luca Ciotti, per anni assistente Acr, Giovani dell’Azione cattolica ambrosiana e Fuci, è stato inviato dall’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a svolgere il suo ministero. «Terre bellissime quando c’è il sole – afferma con orgoglio il sacerdote, ordinato nel 1998 -, ma quando è grigio è davvero grigio». Non si tratta di una Comunità pastorale, ma di una vasta area pastorale che, grazie al lavoro svolto dal Vicario episcopale di Zona e dal Gruppo Barnaba, per praticità si è riusciti a ridisegnare e suddividere in quattro grandi fette: tutta la costa del lago verso Luino, Luino (che è Comunità pastorale), la Valle Dumentina e Veddasca, e poi la zona interna di Grantola e Mesenzana.
Più soldi, meno vita
«All’inizio – spiega don Ciotti – sono stato nominato parroco di Castelveccana, Nasca, Porto Valtravaglia e Domo Valtravaglia, ma dall’ottobre scorso sono parroco anche di Germignaga e Brezzo di Bedero». La geografia di questi luoghi – ora baciati dal sole, ora quasi nascosti dal grigio delle nuvole che si formano sopra il lago – si riflette sugli stili di vita della gente che li abita, sulle luci e sulle ombre di una comunità molto grande da gestire.
«Qui in tanti sono frontalieri – racconta don Luca -, si alzano alle 4.30 della mattina per andare a lavorare in Svizzera e tornano alle 19.30 che sono stanchi, per questo la sera è difficile organizzare proposte pastorali». E aggiunge: «La Svizzera ti dà più soldi, ma ti toglie la vita. Nelle terre del benessere il cammino di fede è diventato più complicato».
Tre nodi
Il sacerdote si sofferma su tre nodi da sciogliere. Il primo è quello della conservazione della fede, sua e della gente, poi c’è quello dell’umanità del prete. «In queste terre – si spiega meglio – è facile che uno si senta solo, è difficile “stanare” la gente, rischi di incontrarla solo al termine della Messa. Fortuna che c’è la mia mamma e che a settembre è arrivato come coadiutore don Davide Carcano, mio compagno di ordinazione, un grande dono. Poi c’è don Sandro Mascheroni, sacerdote residente». Il terzo nodo riguarda lo sguardo d’insieme perché, allargandosi la geografia, il rischio è che ogni parrocchia voglia tenere il proprio. «Invece – aggiunge il sacerdote – ogni comunità deve mettere a disposizione di tutti le cose più belle che ha, per il bene comune».
Ma don Luca non si scoraggia, guardando sempre al tabernacolo e alla sua gente e conclude: «Dobbiamo lavorare perché crescano punti di riferimento in ogni comunità, come le famiglie. Spesso noi preti siamo presenti a livello celebrativo, andiamo a tappare buchi, ma dobbiamo trovare vie nuove per la pastorale. Inoltre c’è da ridisegnare il tessuto sociale, riportando genitori e figli in oratorio e puntando sui giovani che qui, dopo la quinta superiore spariscono, perché vanno a studiare a Milano o a Lugano. Abbiamo bisogno di educatori e per questo stiamo lavorando con la Fom».