Primo italiano a scendere sotto i 10 secondi sui 100 metri, ha vent’anni, è cresciuto all’oratorio di Costa Lambro e si ritiene «un ragazzo normalissimo». Si racconta in questa intervista esclusiva alla luce del Sinodo dei vescovi in corso di svolgimento
di Claudio
URBANO
La spontaneità delle risposte mostra tutta la freschezza dei suoi vent’anni, nonostante il suo record italiano sui 100 metri piani – quest’estate a Madrid li ha corsi in 9”99, terzo bianco in assoluto a scendere sotto i 10 secondi – faccia pensare naturalmente a un atleta “navigato”. «Sono un ragazzo normale», precisa infatti Filippo Tortu, cresciuto a Costa Lambro (Mb). Sicuramente è un giovane con la testa sulle spalle, di certo è fortemente appassionato del proprio lavoro, che in questo caso è uno sport. Insomma, a partire dall’atletica Filippo mostra tante delle qualità e delle energie proprie della sua età, e fin qui può dire di aver iniziato a colmare quel desiderio di felicità dei giovani per cui pregano i vescovi riuniti a Roma nel Sinodo a loro dedicato.
Per questo gli abbiamo chiesto qualcosa in più su di sé, anche al di fuori della pista, e su come vede la sua generazione. Anche se, chiedendogli che esempio possa rappresentare per i suoi coetanei, si schermisce: «Penso di essere l’ultimo a poter rispondere a questa domanda. Certo, la maggior parte dei ragazzi che mi seguono sui social hanno la mia età, e questo mi fa molto piacere. Molti mi dicono che si ispirano a me: mi fa parecchio effetto, è strano, perché sono un ragazzo della loro età, mi sento – sottolinea – un ragazzo normalissimo».
Filippo è seguito in pista dal padre Salvino, naturalmente il primo a credere nelle sue qualità. Com’è il rapporto con un padre allenatore? «Mi sento doppiamente fortunato – risponde senza esitazioni -. Innanzitutto perché ho l’occasione di passare molto tempo con lui, e questa è una bellissima cosa, poi perché lo reputo il miglior allenatore in Italia». Quali sono stati i suoi insegnamenti, anche al di là dell’atletica? «Quello a cui faccio più attenzione è il fatto di mantenere la parola data, di rispettare i propri impegni e le proprie scelte, è una cosa a cui tengo molto. Se io scelgo di fare una cosa, poi devo essere io a portarla avanti a tutti i costi».
Si legge la professionalità dello sportivo. Non sente a volte il proprio impegno anche come un sacrificio? «È il mio lavoro, quindi mi porta via gran parte del tempo; però faccio qualcosa che mi piace, quindi a essere sincero non lo percepisco come un peso. E la fatica è mossa da una passione, dunque è più leggera rispetto ad altre. Sono certamente necessari dei sacrifici, però per arrivare ai risultati che speri di ottenere qualche sacrificio devi farlo. Io non dico che non ne faccio: però le gioie, le soddisfazioni sono molte più dei sacrifici, quindi mi sembra quasi di non farli».
Dallo sport, dunque, arriva sicuramente un insegnamento proprio sul valore dei sacrifici: «Un risultato non casca dal cielo, devi lavorare e molto per ottenerlo». Naturalmente poi non c’è solo l’aspetto del risultato agonistico: «Ho scelto di frequentare anche l’università, ma soprattutto a quest’età è bello avere anche altri obiettivi rispetto alla scuola. In generale posso dire che lo sport – a me piacciono quasi tutti – aiuta veramente tanto: ti insegna valori, ti aiuta a vivere, ti dà una marcia in più. Poi io viaggiando ho la possibilità di incontrare molte persone di nazionalità diverse, e questa credo sia una grande fortuna».
Cosa direbbe Filippo ai ragazzi della sua età, che hanno sì desideri e aspirazioni, ma magari non una strada o un talento già definito come il suo? Ed è vero che i giovani non hanno voglia di impegnarsi? «Penso che la nostra sia come ogni generazione – replica -. Ci sono giovani che non hanno voglia, ma molti di più che vogliono fare, lavorare, studiare, o comunque inseguire i propri obiettivi». Un consiglio? «Può essere scontato, ma è quello di non buttarsi giù alle prime difficoltà, di provare con tutte le forze a continuare quello che si è iniziato. Poi, se uno si rende conto che quella che ha preso non è la strada giusta per lui, non è mai troppo tardi per cambiare. Però l’importante secondo me è non avere rimpianti».
Dopo i Giochi del Mediterraneo di quest’anno, Tortu ha raccontato che «vincere l’oro in staffetta ha un sapore particolare: il nostro è uno sport individuale, ma quando vinci insieme ai tuoi compagni capisci quanto sia importante lo spirito di gruppo». E infatti, se gli si chiede quale insegnamento gli sia rimasto di più dagli anni trascorsi all’oratorio di Costa Lambro in cui è cresciuto, Filippo richiama soprattutto «il valore della condivisione, l’aiutare chi è più in difficoltà o magari non ha le tue fortune. Poi non è tanto importante se uno crede o no, riflette, ma se rispetta gli insegnamenti del Vangelo, che possono essere adottati come morale della propria vita».
C’è però anche dell’altro. La Chiesa, riunita in questi giorni nel Sinodo, può dire qualcosa ai giovani? Anche se Filippo dice di sentirsi impreparato alla risposta, il ragionamento è articolato: «Per come le ho vissute io, la Chiesa e la religione sono state molto importanti per la mia crescita. Vedo la Chiesa come una “figura” che può affiancarsi a quella dei genitori… Naturalmente quando diventi più grande non è che i genitori scompaiano, ma inizi a pensare più con la tua testa, ti crei una tua identità. Quindi penso sia importante l’aiuto ricevuto prima dalla Chiesa, che della tua identità (da adulto) facciano parte anche gli insegnamenti di quando eri più piccolo».
Uno sguardo giustamente rivolto al futuro, quindi. Il prossimo obiettivo? «Sicuramente le Olimpiadi, sono il sogno di ogni sportivo. Poi si vedrà…».