A cinque anni dalla morte (5 agosto 2017) del Cardinale che guidò la Chiesa ambrosiana dal 2002 al 2011, monsignor Carlo Redaelli, allora suo Vicario generale e oggi Arcivescovo di Gorizia, evidenzia le sue prese di posizione in campo familiare e sociale e l’importanza dei “cantieri” da lui avviati in Diocesi

di Annamaria Braccini

tettamanzi

«Un uomo dalla fede sobria, direi brianzola, molto essenziale, concreta, legata al Vangelo. Un prete che ha dedicato la sua vita alla Chiesa e un Vescovo che, con grande saggezza, l’ha saputa guidare come un discepolo di San Tommaso, tenendo molto alla prudenza, che non è il non agire, ma il coraggio di agire con saggezza». È un ritratto articolato, quello che monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, da dieci anni arcivescovo metropolita di Gorizia, nel quinto anniversario della scomparsa (5 agosto 2017) delinea del cardinale Dionigi Tettamanzi, da cui fu ordinato vescovo nel 2004 e del quale, dal 2003, fu primo collaboratore come Vicario generale della Diocesi di Milano.

Entrando a Milano il Cardinale disse: «I diritti dei deboli non sono diritti deboli». Si ricordano le sue molte prese di posizione sociali. Ritiene che questo sia uno degli aspetti che caratterizzarono il suo governo della Diocesi?
Certamente il cardinale Tettamanzi era un professore di Teologia morale, ma la morale e l’etica cristiana le viveva e le proponeva, non solo nei campi che gli erano più propri, la famiglia o la bioetica – ricordo per esempio la vicenda Englaro, con la posizione molto saggia ed equilibrata da lui assunta -, ma anche riguardo alle questioni sociali. Penso che tutti ricordino quando camminò in mezzo al fango, nel Natale del 2010, per portare personalmente doni ai bimbi del campo rom di via Triboniano, dando così anche un’indicazione precisa su come risolvere il problema: non distruggendo i campi come volevano alcuni, ma cercando di dialogare.

Molti furono i “cantieri” avviati da Tettamanzi. Secondo lei quale ha segnato maggiormente la Chiesa di Milano?
All’inizio del mandato ambrosiano il Cardinale pensava a una sua presenza a Milano di passaggio, visti anche i non molti anni che gli si prospettavano in Diocesi per l’età. Poi si è accorto della necessità di operare alcune scelte molto precise, anche in continuità con il magistero del cardinale Martini. Questi “cantieri” sono nati dalla consapevolezza di un momento di transizione, come indica il termine stesso di “cantieri”. Io ritengo che il più importante sia quello delle Comunità pastorali, che viene ripreso tuttora in molte diocesi italiane.

Non si può dimenticare l’oltre un milione di copie della pubblicazione del 2008, Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito. Lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione. Ne parlaste con il Cardinale?
Si, a lungo e so che, per la preparazione della lettera, sempre con la consueta prudenza, si era confrontato con la Cei e la Santa Sede. Qui posso ricordare anche un episodio curioso: poco dopo la pubblicazione di quella lettera, andammo con un gruppo di preti giovani in Spagna e ne portai una copia al cardinale Sistach, arcivescovo di Barcellona, che era un canonista. Quando gliela diedi, spiegando che era appena uscita, lui mi rispose: «Ma noi l’abbiamo già tradotta in catalano…». Davvero la lettera ha aperto una strada a ciò che papa Francesco ha fatto con Amoris Laetitia, comprendendo come ci possano essere cuori feriti che, dalla Chiesa, non aspettano una giustificazione banale, ma un’accoglienza, un ascolto, la capacità di avere ancora una speranza.

Sempre nel 2008, l’intuizione profetica del Fondo Famiglia-Lavoro, annunciato nella notte di Natale. Come si arrivò a questa scelta?
Fu una decisione del Cardinale, comunicatami quando l’aveva già elaborata. Poi ci si è confrontati, anche con altri, per trovare le strade più consone a dare un aiuto che non si esaurisse nel brevissimo tempo. Anche in questo caso fu un’intuizione nella concretezza, un segno, come sono i segni del Vangelo. Stando accanto a lui ho capito quest’attenzione alle persone, molto discreta, ma anche molto saggia, con un discernimento e un coraggio potremmo dire ignaziani. Il cardinale Tettamanzi, così come il cardinale Martini, sapevano valuta le persone senza fermarsi ai giudizi. Ricordo il pellegrinaggio diocesano in Terrasanta nel 2007 per i 50 anni di Messa di Tettamanzi e gli 80 anni di Martini, con l’incontro tra i due: c’era la gente che piangeva. Da quel momento i due Cardinali si sono sentiti sempre più spesso, andando sempre molto d’accordo, e rivolgendosi insieme anche a papa Benedetto.

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