Alla celebrazione presieduta in San Fedele il Vicario generale ha ricordato «la chiarezza e la limpidezza del Magistero e la libertà di amare la Chiesa» del Papa emerito scomparso

Te Deum 2022
Un momento della celebrazione

di Annamaria Braccini

In un Te Deum che già si era annunciato differente dagli anni scorsi, perché non presieduto come tradizione dall’Arcivescovo – in Camerun per visitare i nostri missionari fidei donum -, ma dal Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, la notizia della scomparsa di Benedetto XVI non può non richiamare al ricordo dell’amato Papa emerito per cui «rendere grazie»  

Così come accade nella riflessione di monsignor Agnesi, cui sono accanto dodici concelebranti della Comunità dei Gesuiti – cui è affidata la parrocchia di Santa Maria della Scala in San Fedele, dove si svolge il rito – tra cui il presidente della Fondazione Carlo Maria Martini e della Fondazione San Fedele padre Carlo Casalone, il vicepresidente e superiore dei Gesuiti di Milano padre Giacomo Costa e il parroco padre Iuri Sandrin, che porge il saluto di benvenuto ricordando il ritorno alla normalità dopo gli anni del Covid. Tanti, infatti, i fedeli presenti per questa Messa e per il canto di ringraziamento di fine anno, dove non manca l’autorità civile, con l’assessore alla Sicurezza Marco Granelli che indossa la fascia tricolore in rappresentanza del Sindaco di Milano.

Dopo l’annuncio della Risurrezione secondo Giovanni, – che apre la celebrazione vigilare della domenica in rito ambrosiano -, le letture annodano l’omelia del Vicario generale, a partire dalla pagina del Vangelo di Luca al capitolo 2, con il loro chiaro invito, ovviamente sottolineato anche dal Te Deum, a «non smarrirci».

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Perché essere grati oggi

Ma come farlo in questo nostro tempo così complicato? Trovando, appunto, motivi di gratitudine come fecero i pastori, che avevano visto la gloria di Dio scesa in un bimbo avvolto in fasce di cui Maria si era presa cura e che lo avevano raccontato. E, da quella primigenia gratitudine, tanti i motivi anche per la nostra vita di oggi, suggerisce Agnesi, che richiama i dieci anni dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini e i venti dalla sua rinuncia, per raggiunti limiti di età, alla guida della Chiesa ambrosiana. Quell’Arcivescovo di Milano indimenticabile che, nella sua Scuola della Parola, aveva a lungo riflettuto sul segno delle «fasce» nelle quali venne accolto il Dio fattosi bambino. «Fasce» citate, non a caso, ben 3 volte dall’evangelista Luca.

«Maria fece tutto il possibile in quella situazione, compiendo le cose giuste e urgenti e non lamentandosi», dice monsignor Agnesi, facendo riferimento anche alla mangiatoia. «Perché l’angelo offre proprio questo segno, l’insistenza sulla mangiatoia che indica un bambino abbandonato e derelitto, ma anche sulle fasce che dicono che è curato con attenzione? – si chiede – Perché sono il simbolo della massima cura possibile, nella massima privazione».

«Credo che, allora, anche noi possiamo domandarci in quanti luoghi di massima privazione, vi sia la massima cura. Possiamo ringraziare anche per ciò che qui si propone», aggiunge con il pensiero rivolto alle recentissime iniziative per i senza dimora e persone in difficoltà che San Fedele promuove in sinergia con Casa della Carità e Caritas ambrosiana.

Poi, il richiamo di Agnesi è per la Lettera paolina ai Filippesi, appena proclamata nella liturgia. «Paolo chiede di vivere nella fraternità e, per farlo, prende a prestito un cantico della prima comunità cristiana, da rileggere insieme per comprendere perché possiamo essere tutti fratelli e sorelle, trovando ciò che ci può unire e rendere vicini e solidali con lo stile di Gesù, con il dono che il Signore ci fa ancora ogni volta che lo incontriamo nella preghiera e nel canto».

Il dono di ciò che ci porta a cercare la felicità di chi ci sta accanto, a vivere “per”, cosi come fece papa Benedetto: «Credo che oggi possiamo anche dire grazie per il dono di Benedetto XVI, che si presentava con il suo sorriso, la chiarezza e la limpidezza del Magistero e della teologia, nella sua grande libertà di amare la Chiesa fino a scelte non da tutti comprese. Ciò ci dice quanto aveva a cuore la sua Chiesa. E allora possiamo, forse, anche noi, vivere la vita di ogni giorno, senza confonderci, senza perdere la speranza».

E così, come il Libro dei Numeri (di cui si legge uno stralcio come prima Lettura) indica, dopo tanti adempimenti per il popolo d’Israele, la fondamentale forza salvifica della benedizione del Signore, «anche noi – conclude il Vicario generale – dobbiamo e possiamo essere capaci di lodare Dio nella realtà complicata, cercando quel bene, quella luce, quella custodia, quella pace che ci fa sentire amati». Una benedizione di cui anche nelle tribolazioni, siamo tutti portatori verso gli altri, nel canto e nella preghiera, come molto spesso l’Arcivescovo ricorda. 

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