Stefania Casturà è stata volontaria ad Haiti con i Cantieri della Solidarietà e ha conosciuto bene la religiosa: «Era sempre presente, per lei gli altri venivano prima di ogni esigenza. Ora che non c’è più rimane tangibile la sua testimonianza cristiana»

di Annamaria Braccini

Suor Luisa con volontari Caritas dei Cantieri della Solidarietà
Suor Luisa con volontari Caritas dei Cantieri della Solidarietà

Stefania Casturà, già volontaria con suor Luisa Dell’Orto ad Haiti, oggi lavora in un’azienda, ma quei mesi le sono rimasti nel cuore e, nel tempo, non ha mai interrotto i contatti con la realtà di “Kay Chal” (in italiano tradotta “Casa Carlo”) e con la Piccola Sorella del Vangelo uccisa la settimana scorsa (leggi qui). Settimane vissute e indimenticabili «da cui imparare».

Qual è stata la sua esperienza nel volontariato accanto a suor Luisa?
Ho conosciuto suor Luisa ad Haiti tramite l’iniziativa dei Cantieri della Solidarietà di Caritas ambrosiana e ho vissuto quest’esperienza per quattro anni, in altrettante permanenze estive; precisamente a Port-au-Prince, a Kay Chal, proprio a casa di Luisa. La prima volta che mi sono recata ad Haiti avevo 28 anni. Il Cantiere permetteva di organizzare e di proporre ai bambini e ai ragazzi quello che potremmo definire l’equivalente del nostro oratorio feriale, ovviamente tenendo conto della situazione di grande povertà del quartiere in cui ci trovavamo.

Com’era l’approccio di suor Dell’Orto nei confronti dei bambini e, in generale, della gente haitiana?
Era di massima disponibilità, con un ascolto materno offerto a chiunque l’avvicinasse. Un ascolto che chiamerei da sorella. Luisa era, comunque, una donna super impegnata: oltre la vita in cité e la gestione della Casa, era anche docente, ma riusciva a essere sempre presente, come se la sua giornata durasse molto più di 24 ore. Dormiva pochissimo. Per lei gli altri, le persone, i ragazzi e i bambini venivano prima di ogni altra esigenza.

Avete mai avuto paura a Port-au-Prince? Sentivate di essere circondate da rispetto e da affetto o da insofferenza o peggio, per la vostra presenza e opera a favore dei restavek, i bambini schiavi?
Non ho mai percepito situazioni di grave pericolo. La mia ultima esperienza ad Haiti, però, risale al 2018: poi ho comunque, mantenuto i contatti con Luisa. Era impossibile non farlo.

Qual era la caratteristica principale con cui ricorda questa persona generosa e buona?
Difficile sintetizzare la sua ricchissima personalità in un parola o in un aggettivo. Era sempre pronta verso il prossimo, sia per l’ascolto, sia per un confronto su ogni argomento. Forse si può dire che era aperta a tutti e al mondo.

Ha aiutato anche voi volontari a crescere nella consapevolezza di cosa significhi «farsi prossimo»?
Sì, certamente. Questo è un dato per me molto importante, che ci si porta dietro tutta la vita.  

Qual è, secondo lei, l’eredità maggiore che lascia suor Luisa?
Al di là del moltissimo che ha fatto, il perché lo ha fatto, quindi anzitutto la sua testimonianza cristiana: il fare e il vivere per qualcosa di più grande. Forse adesso che non è più con noi, questo aspetto diviene più che mai tangibile.

Suor Luisa era riuscita a integrarsi bene nella realtà haitiana e con i volontari Caritas?
Sì, per quanto mi riguarda personalmente, senza dubbio, fin da subito. Non ci sono mai stati problemi d’integrazione o di rapporti. Era lei che accoglieva per prima i volontari: si respirava proprio un bel clima nella relazione con la gente e tra noi.

Quest’esperienza dei Cantieri della Solidarietà è stata significativa per lei?
Senza dubbio. Basti dire che, magari, all’inizio si pensa di fare un’esperienza abbastanza circoscritta, poi si continua. Il fatto di essere tornata per quattro anni nello stesso luogo, ad Haiti, vuole sicuramente dire qualcosa.

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