La prima Messa, celebrata in Diocesi, nella memoria liturgica della beata suor Leonella Sgorbati, è stata presieduta dall’Arcivescovo
di Annamaria
Braccini
Sono passati 12 anni ma, come sempre accade per uomini e donne capaci di lasciare un segno indelebile nelle vite degli altri combattendo l’ingiustizia, anche per suor Leonella Sgorbati, uccisa il 17 settembre 2006 a Mogadiscio, il ricordo diventa memoria condivisa e grata in chi la conobbe e nell’intero popolo di Dio. Esempio riconosciuto dalla Chiesa con la Beatificazione avvenuta a Piacenza il 26 maggio scorso. Così, in Diocesi, la prima Messa nella memoria liturgica della Beata secondo il Rito romano, viene presieduta dall’Arcivescovo nella parrocchia di San Giuseppe a Sesto San Giovanni, dove la religiosa delle Suore Missionarie della Consolata – piacentina d’origine – trascorse gli anni della sua giovinezza.
Il canto composto per la Beatificazione e i solenni Dodici Kyrie della liturgia ambrosiana aprono il Rito, concelebrato dal vicario episcopale di Zona, don Antonio Novazzi, dal prevosto di Sesto, don Roberto Davanzo e da altri sacerdoti della città. In prima fila prendono posto alcune consorelle della Beata, tra cui la provinciale della Regione Europa, suor Maria Luisa Casiraghi e suor Renata Conti postulatrice della Causa; tanti i fedeli presenti che conobbero suor Leonella. Don Leone Nuzzolese, parroco di San Giuseppe e decano, porge il saluto di benvenuto.
«Non c’è contesto più agevole e propizio che l’Eucaristia per rendere grazie. Non c’è fotografia che non abbia suor Leonella sorridente. È il sorriso di Dio e della carità che il Papa ha citato ricordando don Pino Puglisi. È il sorriso di nostri educatori come don Luigi Serenthà e don Giovanni Moioli».
L’Arcivescovo, che consegna alla Comunità la reliquia (un frammento osseo) della Beata, nella sua omelia sottolinea ulteriormente il senso di un donarsi gratuito, fino al martirio, oggi incompreso e persino deriso.
«Gente avveduta che sa calcolare il dare e l’avere, gente prudente che investe le sue risorse con le dovute garanzie, gente astuta che intuisce dove c’è il guadagno più promettente e il rischio minore, gente esperta di bilanci e previsioni, gente ben informata di tendenze e scadenze, che cosa ne pensate della vita di suor Leonella? Gente che valutate il bene e il male in base al bilancio e come va il mondo in base all’indice di borsa, che cosa imparate della sua vicenda?».
I numeri, seppure importanti, non possono, infatti, dire tutto di suor Leonella che fu, certo, molto di più della sua biografia. Nata nel 1940 a Gazzola (Piacenza), Missionaria della Consolata dal 1972, trasferitasi in Kenya, nel 1985 divenne il più importante tutor della scuola infermieri incorporata al “Nkubu Hospital” a Meru. Fu, poi, all’ospedale pediatrico di Mogadiscio, per studiare la possibilità di una scuola infermieri che ha aperto nel 2002. Rientrata nella capitale della Somalia il 13 settembre 2006, il 17 fu uccisa a colpi d’arma da fuoco all’esterno dell’ospedale pediatrico insieme alla guardia del corpo.
«Forse qualcuno può considerare il Vangelo anacronistico, perché Gesù non fa mai questione di numeri: né quando si tratta di confrontare la miseria delle risorse con l’enormità della fame né quando si tratta di raccogliere i discepoli. L’unico criterio è la volontà del Padre: non conta quanta popolarità si guadagni, non conta quante opere buone abbia compiuto, non conta quanti siano coloro che hanno deciso di seguirlo e se siano gente importante o insignificante. Per Gesù conta la gloria del Padre».
Il richiamo è all’immagine del chicco di grano che, se muore, produce molto frutto seminando nei solchi della storia umana la vocazione ad amare.
«Amare non è in primo luogo produrre buoni risultati, far crescere il benessere dei popoli, assicurare le risorse di cui c’è bisogno, anche se questo è un risultato dell’amore. Amare è stabilire relazioni sulla decisione del dono, nella logica del prendersi cura dell’altro, in una gara per stimarsi a vicenda, in una disponibilità alla confidenza e alla fiducia. Amare non è, in primo luogo, considerare l’altro come destinatario di una beneficenza, è piuttosto considerare l’altro come un fratello, una sorella, una persona chiamata a condividere la vita, la speranza, la gioia di Dio».
Quel “profumo” di santità che suor Leonella ha diffuso in terra d’Africa, non solo con la generosità personale e delle sue consorelle, ma «per quel morire perdonando, facendo della propria vita un dono per convincere altri che la vita si salva solo se è donata».
Al termine della celebrazione, presenti tutti i fedeli, Delpini ha benedetto il nuovo campo di calcio della parrocchia San Giuseppe.