Dal Fondo Famiglia Lavoro al primo posto di Milano per qualità della vita, «non un risultato di cui vantarsi, ma come una responsabilità da esercitare; chi è in una condizione migliore deve farsi carico di chi è in una peggiore». Questi i temi trattati dall’Arcivescovo nella consueta telefonata a Radio Marconi
«Questa è la mia interpretazione: vivere una condizione buona non come un risultato di cui vantarsi, ma come una responsabilità da esercitare». Lo sostiene monsignor Mario Delpini, nella «Telefonata» a Radio Marconi, curata da Fabio Brenna, in merito ai risultati positivi ottenuti da Milano e provincia in termini di qualità della vita.
Eccellenza, partiamo da un anniversario. La notte di Natale 2008 il suo predecessore, il cardinale Dionigi Tettamanzi, lanciava il Fondo famiglia-lavoro come segno di una condivisione all’inizio della «grande crisi», quando significava perdere il lavoro e quindi cadere nella precarietà e povertà. A dieci anni di distanza, cosa ha dato alla comunità ambrosiana? Quale sarà il suo futuro?
Ha rivelato da un lato la serietà della crisi, dall’altro la generosità dei milanesi e delle loro istituzioni. Abbiamo raccolto e distribuito 24 milioni di euro: non possono risolvere i problemi di tutti, però sono il segno di una generosità che è sempre disponibile. Certamente l’iniziativa del cardinal Tettamanzi ha sollecitato istituzioni, enti, Fondazione Cariplo, tante altre organizzazioni che hanno messo a servizio delle persone, come Acli e Caritas, in modo tale che si è creata una rete di solidarietà, che oltre ad avere la consapevolezza della crisi si è interrogata su come affrontarla, su come star vicino a chi la viveva.
E adesso?
La prospettiva di questa iniziativa l’abbiamo annunciata in una recente lettera alla Diocesi in cui si dice che l’aspetto emergenziale si ritiene concluso. Effettivamente la problematica occupazionale di alcune fasce di età o di situazione sociale si deve ritenere non di un’emergenza dovuta alla crisi, ma di una condizione strutturale. È per questo che abbiamo ritenuto che l’attenzione al problema occupazionale diventasse un’attività ordinaria incaricando la Caritas di considerarla tra i suoi impegni.
Di recente l’annuale classifica sulla vivibilità delle città capoluogo, elaborata da Il Sole 24 Ore, sulla qualità della vita piazza Milano e la sua provincia al primo posto sulla base di una decina di indicatori (reddito, sicurezza, cultura e altro). Come legge questo dato?
Non sono tanto amico delle classifiche, perché dipende sempre dai parametri che si usano, dagli elementi che si considerano. Tuttavia è un risultato indicativo. Lo leggo come una responsabilità: chi è in una condizione migliore deve farsi carico di chi è in una più problematica. È un riconoscimento di quel che si è fatto, del merito che hanno avuto le istituzioni ad affrontare le problematiche emergenti e trovare soluzioni. Come dice il Vangelo, a chi più ha più sarà richiesto.
Siamo passati dalla durezza dei colpi inferti dalla crisi, fino a quello che potrebbe sembrare un approdo rassicurante, come il primo posto in una classifica. In questo contesto come si muove la comunità cristiana?
La comunità cristiana diventa più consapevole di alcune urgenze e responsabilità da esercitare. La prima è che noi dobbiamo continuare ad annunciare il Vangelo, abbiamo una speranza da condividere, una prospettiva di orizzonte universale da praticare. Non ci accontentiamo di dire: «Adesso forse l’emergenza occupazionale, almeno per alcuni, ha trovato una soluzione». Noi invece diciamo: «Ma di che cosa vivono? Che senso ha la vita?». Dobbiamo quindi annunciare il Vangelo, non possiamo rinunciarvi, per noi è la priorità, è il senso della vita. L’altro aspetto che mi sembra sia condiviso dalla comunità cristiana è la prossimità: essere buoni vicini, presenti sul territorio come persone che guardano agli altri come fratelli e sorelle, piuttosto che a come fossero presenze inquietanti o fastidi. Quindi la prossimità, con la presenza capillare delle parrocchie, degli oratori, delle istituzioni che fanno riferimento alla Chiesa, continua a dire che a noi interessa l’uomo, la sua situazione di vita, le famiglie, lo star vicino ai ragazzi che crescono e aiutarli a diventare uomini e donne, che abbiano una speranza di vita eterna e una vocazione da realizzare. In questo contesto non ci lasciamo né deprimere dalle paure, dalle problematiche, né esaltare da qualche risultato gratificante. Dobbiamo continuare ad annunciare il Vangelo e a praticare la carità.