In Curia l’incontro con i dirigenti del professionismo sportivo, primo passo di una collaborazione in vista delle Olimpiadi del 2026
di Annamaria
BRACCINI
Un’alleanza, un gioco di squadra tra la Chiesa e lo sport professionistico che sappia indicare la strada della pace, di una società migliore, di una vita più attenta ai valori morali. Non è un compito da poco, quello che l’Arcivescovo ha indicato ai dirigenti dello sport professionistico, incontrandoli per la prima volta in Arcivescovado.
I saluti introduttivi
A portare il saluto di benvenuto è stato don Stefano Guidi, responsabile del Servizio per l’Oratorio e lo Sport, che ha ricordato come l’incontro, molto atteso, non si sia potuto realizzare negli anni scorsi a causa del Covid: «L’occasione è lo sguardo e la prospettiva, la meta a cui tutti stiamo guardando, le Olimpiadi Milano-Cortina 2026. A partire dalla presenza capillare degli oratori, che è molto forte nel nostro territorio, vorremmo camminare con alcuni amici per fare emergere il valore educativo e sociale dello sport», ha aggiunto. Accanto a lui Marco Riva, presidente del Comitato regionale lombardo del Coni, accompagnato da alcuni membri della Giunta, che ha richiamato il vero valore dell’eccellenza: «Superare i propri limiti, ma anche stare insieme e fare squadra, nella consapevolezza che lo sport è uno dei più importanti poli educativi». E se il motto delle Olimpiadi è «Più veloce, più in alto, più forte», secondo Riva occorre «aggiungere la parola “insieme” per costruire un mondo migliore e il futuro».
Uniti per il bene delle persone
Erano presenti, tra gli altri, don Mario Antonelli, vicario episcopale di Settore, il presidente onorario del Coni Lombardia Pino Zoppini, il presidente del Csi-Milano Massimo Achini con l’assistente ecclesiastico nazionale dell’ente don Alessio Albertini. A tutti si è rivolto l’Arcivescovo richiamando i suoi diversi incontri con altri comparti dello sport: «Essendo vescovo di Milano, sento la responsabilità di essere attento a tutto quello che Milano vive. Mi appassiona il vostro lavoro, che coinvolge un gran numero di persone come dirigenti e responsabili, ma anche milioni di tifosi. Mi interessa stabilire un rapporto che permetta la stima vicendevole, al di là di giudizi sommari con cui a volte si guarda al professionismo. Talvolta si parla solo di soldi, di strumentalizzazioni, di scandali con un sospetto generalizzato. Io, invece, voglio dire la mia stima per quello che voi fate in vista del bene comune, così come è importante che lo sport non abbia dei pregiudizi, vedendo la Chiesa come una realtà parallela».
«La parrocchia, nelle nostre terre e in gran parte del nord Italia, è fatta dal campanile, la casa del prete e l’oratorio dove si gioca: questa è una dimensione popolare dello sport che il professionismo deve apprezzare – ha scandito l’Arcivescovo -. Se entriamo in un rapporto di stima vicendevole, siamo chiamati a vivere la responsabilità per il bene comune. A me sembra che la rilevanza dello sport professionistico e dei suoi risultati possa dare un contributo positivo per il contesto sociale. I campioni diventano modelli di comportamento: se il campione è onesto, capace di fair-play e ha qualità umane, impatta particolarmente». Basti pensare all’emozione per le recenti scomparse di Pelé e Vialli.
«La Chiesa, la comunità cristiana contribuisce a promuovere quei valori morali che lo sport può incarnare – ha aggiunto -. Un valore morale è, certamente, quello di resistere all’insidia del successo a ogni costo, della strumentalizzazione economica o ideologica dello sport, quando un regime esibisce la sua potenza attraverso lo sport come strumento di propaganda su cui, infatti, le dittature hanno sempre investito molto. Questo aspetto di vigilanza è un elemento che ci deve vedere uniti, perché entrambi vogliamo il bene delle persone».
Un invito educativo
Senza dimenticare, ha evidenziato ancora nel suo appassionato intervento, l’emergenza educativa, «un tema che ha assunto una rilevanza drammatica, cui il Covid ha contribuito e sul quale possiamo essere alleati. L’attrattiva che lo sport può esercitare sugli adolescenti e sui giovani, così come le motivazioni spirituali che la Chiesa può offrire loro, sono forze che convergono per un’umanità più fiduciosa nelle proprie capacità».
«Le riflessioni sullo sport mi pare che possano incoraggiarci a compiere un percorso verso le Olimpiadi, immaginando forme di collaborazione. Promuovere i valori tipici della filosofia olimpica è un impegno anche per la Chiesa», ha spiegato ancora monsignor Delpini, facendo riferimento alla sua Lettera agli sportivi, «Excellence». Infatti, proprio all’«eccellenza» è dedicato questo anno dalla Pastorale dello sport, cui seguiranno, nei due prossimi, le altre parole-simbolo delle Olimpiadi (leggi qui).
Alleati per la solidarietà e la pace
Chiarissima, dunque, l’incidenza sociale di un mondo sportivo chiamato alla solidarietà, partendo da una riflessione, definita «necessaria», sulla «accessibilità universale a praticare sport» con gemellaggi anche a livello internazionale, come si sta facendo con il progetto di volontariato «Csi per il mondo» (leggi qui): «Sviluppare solidarietà e collaborazioni con le popolazioni più povere, che hanno bisogno di organizzazione e strutture, è un dovere. Il frutto delle Olimpiadi non possono solo essere i risultati sportivi, ma anche queste sinergie. Questi non sono aspetti marginali, ma è uno stile: certo, il professionista deve dare meglio di sé, ma la parola “universale” per lo sport ha un contenuto che non dobbiamo mai dimenticare. È gioia, è gioco che salva dal rischio della competizione aggressiva. Occorre mantenere il significato originario dello sport come gioco, secondo la logica della Carta olimpica. Continuiamo questo nostro dialogo. Sentiamoci alleati, con la libertà di ciascuno, nel desiderio comune di rendere migliore la società in cui viviamo, più gioioso il vivere, più convinta la stima che ciascuno può avere di sé, contribuendo al bene comune».
Infine, la proposta: «Facciamo qualche manifestazione pubblica e condivisa per dire che la gente vuole la pace. Noi vogliamo essere un popolo per la pace».
Sull’idea di un appello per la pace, l’Arcivescovo è tornato, poi, a margine dell’incontro, richiamando la guerra in Ucraina, le molte guerre dimenticate nel mondo e le Olimpiadi che, al tempo dei greci, facevano tacere le armi: «Vorrei trovare il modo e le occasioni per dimostrare che i popoli, che tutte le persone sensate, non vogliono la guerra, ma la pace. Mi piacerebbe che ci fosse un grande movimento popolare di preghiera, di riflessione, di iniziative per firmare questo ideale manifesto che dice che noi non ci rassegniamo alla guerra».