Nel contesto della Settimana ecumenica, nella Basilica di Sant’Ambrogio moltissimi giovani, ministri e rappresentanti di diverse confessioni cristiane hanno pregato nei Vespri presieduti dall’Arcivescovo, vivendo un momento di condivisione nella fede e di amicizia reciproca
di Annamaria
BRACCINI
Il grido di giustizia che si alza da ogni parte della terra e la responsabilità delle Chiese di accoglierlo e di ascoltarlo. Sono parole di dolorosa constatazione del presente e, insieme, di speranza nel futuro, quelle che l’Arcivescovo rivolge alle centinaia di ragazzi di diverse confessioni cristiane ed etnie (non sono stati sufficienti per tutti i 500 libretti distribuiti), riuniti nella Basilica di Sant’Ambrogio per la Preghiera ecumenica dei giovani, curata – nel contesto della Settimana per l’Unità dei cristiani – dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano in collaborazione con il Servizio Ecumenismo e Dialogo, le Cappellanie e i Centri di Pastorale universitaria della Diocesi.
Sono presenti ministri e rappresentanti delle Chiese, tra cui il presidente del Cccm, l’archimandrita del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli Teofilactos Vitsos, il vescovo delegato della Conferenza episcopale lombarda per l’Ecumenismo e dialogo monsignor Maurizio Malvestiti, il vescovo ausiliare monsignor Paolo Martinelli, il vicario episcopale di settore monsignor Luca Bressan, il responsabile del Servizio diocesano diacono Roberto Pagani e il responsabile della Pastorale universitaria don Marco Cianci.
In apertura, l’Abate di Sant’Ambrogio, monsignor Carlo Faccendini, ricorda la figura del Santo patrono, padre della Chiesa indivisa: «Pregare insieme in questo luogo così significativo per l’ecumenismo è un grande esercizio di comunione». Vengono celebrati i Vespri ambrosiani. La serata di articola tra Parola di Dio, commemorazione del Battesimo, intercessioni, canti delle Chiese in varie lingue eseguiti dai cori con sonorità tipiche delle singole tradizioni (è la prima volta per i ragazzi eritrei) e, infine, un momento conviviale, per conoscersi meglio anche attraverso delicatezze etniche preparate per l’occasione.
Chiarissimo il richiamo del vescovo Mario che – a partire dal tema della Settimana “Cercate di essere veramente giusti”, tratto dal Libro del Deuteronomio – scandisce: «Nella storia dell’umanità, la giustizia è un grido che sale dalla terra; è il grido dei giusti ingiustamente oppressi, dei poveri, dei figli ingiustamente trattati come schiavi; il grido di quei popoli trattati come presenze indesiderabili nella loro terra, perché impediscono di rubare le ricchezze delle foreste e del sottosuolo».
Grido ecumenico, lo definisce l’Arcivescovo: «Grido di Abele di cui nessuno si cura; dell’Africa in ogni modo derubata e inquinata dalla corruzione; dell’Asia umiliata da condizioni di lavoro che inducono allo sfinimento; dell’America impoverita e inquieta; dell’Europa impaurita, invecchiata e spopolata; dell’Oceania desolata per la sua solitudine». È il grido inascoltato che invoca giustizia e che teme i regali dei ricchi e dei potenti, come dice il Deuteronomio. «Dio ascolta il grido del povero, ma noi?»
«L’ingiustizia è una schiavitù e la giustizia una libertà difficile, pratica di uomini e popoli liberi – suggerisce l’Arcivescovo -. I regali oscurano la capacità di discernimento, spengono la franchezza delle parole, ostacolano la possibilità di scrivere una storia giusta. Infatti coloro che sono ingiustamente ricchi fanno regali, anche alle Chiese, perché benedicano le loro ricchezze; coloro che sono ingiustamente potenti, perché benedicano il loro potere». E le Chiese sono tentate, «perché anch’esse hanno bisogno di risorse per vivere e per curarsi dei poveri».
Il dilemma può farsi drammatico: accettare per continuare ad aiutare? Non accettare per essere Chiese povere che non possono sostenere nessuno? Spingere i poveri del mondo alla rivoluzione «costruendo piccoli frammenti di una società alternativa» o restare mute, sorde, appartate come «comunità estranee alla storia, anche se abitate da una giustizia esemplare»? Ma proprio per questo l’invito alla giustizia «per una rettitudine personale che pratichi almeno la coerenza» e alle Chiese, implica una responsabilità ancora più grande, «per dire che la giustizia ci impegna in un’impresa comune e non ci rassegniamo a non avere risposte».
«Nessuno può far fronte all’ingiustizia da solo, immaginare un cambiamento del sistema camminando semplicemente secondo la propria tradizione. Perciò la Chiesa, le Chiese, devono essere unite, obbedendo al Signore orientandosi a essere veramente giuste. Non abbiamo ricette, ma gesti efficaci da compiere insieme; non abbiamo soluzioni, ma una testimonianza da dare; non abbiamo rimedi generali che sistemano il mondo, ma abbiamo il dovere di passi da fare; non intenzioni velleitarie, ma ci fidiamo di Dio. In questa Basilica che ricorda Ambrogio, Padre della Chiesa indivisa, che si è alzato a gridare contro le ingiustizie del suo tempo, a contrastare un potere troppo prepotente, indicando la libertà della Chiesa, ci ritroviamo per ascoltare ancora il comando del Signore a essere veramente giusti. Non ci riusciremo da soli: le Chiese, le Comunità cristiane, tutti i credenti in Cristo, se vogliono prendere sul serio tutto questo, devono ritrovarsi, pensare insieme, avere il coraggio di scelte coerenti. Nessuno di noi può restare insensibile al grido che viene da ogni parte della terra: la giustizia. Le Chiese umilmente si radunano per chiedere luce per le strade da percorrere, per chiedere la forza di operare scelte di libertà che non possono più essere rimandate».
E, a conclusione, il ringraziamento diviene ancora una consegna che l’Arcivescovo lascia a tutti: «Di fronte al mondo, abbiamo la responsabilità di essere custodi della speranza e testimoni della carità, capaci di promuovere la giustizia».