Reduce dall'Assemblea dei vescovi, all’Auditorium Don Bosco l'Arcivescovo ha incontrato e dialogato con sacerdoti e diaconi ambrosiani, riassumendo in dieci “parole-chiave” i contenuti principali emersi durante i lavori in Vaticano
di Annamaria
Braccini
Il risultato del Sinodo sui giovani non è solo un documento, ma un cammino da fare insieme e da portare sul territorio nella Pastorale delle singole Chiese locali. In questo senso, il Sinodo mondiale dei Vescovi non è certo concluso, anzi. Lo testimonia bene l’incontro dell’Arcivescovo con i sacerdoti ambrosiani, sviluppatosi per un’intera mattinata nell’Auditorium Don Bosco di Milano, con l’articolato e approfondito intervento dell’Arcivescovo stesso (Padre sinodale) e la proiezione del docufilm di grande successo Papa Francesco. Un uomo di parola del regista tedesco Wim Wenders. «Desideriamo entrare nel racconto del Sinodo perché si trasformi in preghiera, studio e anche conversione. E vedendo il film, vogliamo ribadire che siamo Chiesa di Milano che vuole bene al Papa», dice in apertura monsignor Ivano Valagussa, vicario episcopale per la Formazione permanente del clero.
La riflessione in dieci parole
Dal Documento finale reso pubblico al termine dell’Assise si avvia la riflessione del vescovo Mario: «L’intenzione di questo Documento, che raccoglie il frutto del dibattito, non è solo o tanto di offrire linee di Pastorale giovanile, quanto di riassumere ciò che i Vescovi e i giovani stessi hanno elaborato, anche se il testo risente molto di una visione occidentale e nordamericana. Il Papa – che molto probabilmente promulgherà una sua Esortazione apostolica – proporrà elementi più precisi nell’indicare qualche priorità o strumento per il discernimento dei giovani», chiarisce subito, iniziando poi a raccontare la sua esperienza e i punti di vista che ne ha tratto attraverso la sintesi di dieci parole-chiave.
Si parte dall’ultima, «novità», per come «è stato costruito il Sinodo e definita la sua ricezione». Basti pensare alla Costituzione apostolica che ha riformato il Sinodo medesimo con l’attenzione del Papa che «impegna le singole Chiese locali e le Conferenze nazionali a tradurre il Documento a livello locale». In secondo luogo, «l’acquisizione irrinunciabile – nella nostra Diocesi è così, peraltro, da molto tempo – che la Pastorale giovanile sia pastorale vocazionale». Poi un’ulteriore novità fondamentale: «La missione nel mondo digitale, perché è emerso ciò che tutti i giovani della terra si fanno un’idea del mondo attraverso internet, da cui ottengono le notizie. Sostanzialmente oggi sono abituati a vivere nel web, dipendendo da questo. La missione e la responsabilità della Chiesa devono portare ad abitare la Rete, perché anche a Babilonia occorre annunciare il Vangelo». E, ancora, la novità di un tempo per il discernimento che il Documento «intende come momento concreto e particolare della vita del giovane, in cui si possa vivere un’esperienza comunitaria, di servizio e di preghiera. Da qui l’idea di un intero anno, per così dire, di noviziato. Vista così sarebbe, in effetti, una novità grande, ma forse un poco utopica per il periodo prolungato proposto», osserva l’Arcivescovo.
Dal decimo si passa al primo punto: la definizione dello stato di «giovane» compreso nella fascia di età tra i 16 e i 29 anni, «pur essendo emersa una situazione molto diversificata nelle differenti parti del mondo, tanto che ci si domanda se è possibile formulare una proposta che valga per tutti i giovani a livello mondiale… Forse l’aspetto descrittivo della situazione giovanile è stato fin troppo insistito e analitico e non del tutto utile per l’elaborazione del pensiero», il rilievo.
«Un secondo termine è stato l’ascolto. Ma chi ascolta chi? Chi è la Chiesa che ascolta e ascoltare i giovani vuole dire che essi non sono dentro la Chiesa?». A questo rapporto di due mondi quasi estranei che devono incontrarsi, Delpini preferisce la logica di un ascolto capace di dire un coinvolgimento reciproco con giovani che si sentono a casa loro nella Chiesa e si fanno avanti per costruirla. «Ascoltare non significa fare valere pretese o annunciare solo lamentele, ma costruire. La mia impressione è che l’insistenza sull’ascolto sia nata da una sorta di impressione di impotenza, di un certo senso di smarrimento o imbarazzo rispetto al mondo giovanile. Un segno di debolezza che, come clero, richiede consapevolezza».
Si prosegue con «tre fenomeni caratterizzanti» il mondo giovanile. «Anzitutto, come detto, il mondo digitale che ha un’incidenza rilevante a livello planetario e che, pur fornendo una possibilità di rapporti universali, può rischiare di essere spesso selettivo con la formazione di gruppi social chiusi in se stessi, dove il messaggio non arriva e non riesce nemmeno a entrare. Poi, il fenomeno migratorio che coinvolge soprattutto i giovani, cambiando la fisionomia dei Paesi di partenza – che rischiano di perdere intere generazioni – e di quelli di arrivo, impegnati nell’accoglienza. Terzo, lo scandalo degli abusi commessi da chierici, con un’incidenza dell’enfasi mediatica che crea un’immagine di Chiesa screditata e, quindi, non attrattiva. Questi tre fenomeni congiurano a confermare l’estraneità di molti giovani rispetto alla comunità cristiana. Così, il desiderio di spiritualità e la ricerca di un senso della vita, che sono domande presenti nella fascia giovanile, non trovano nella comunità cristiana un interlocutore autorevole e desiderato».
La quarta parola è la più importante: il discernimento vocazionale. Il tema della vocazione è lo specifico della proposta pastorale, coniugando la parola vocazione con le diverse vocazioni che non sono solo la scelta della vita consacrata o del ministero ordinato. Dal Sinodo è emersa la parola vocazione, per esempio, per la categoria del single: «Secondo me questo sforzo di chiamare vocazioni le scelte esistenziali, forse, rivela una certa fragilità, come se esistesse nell’esistenza una specie di predestinazione a ripetere un “copione già scritto”».
Si passa al tema dell’accompagnamento: «Chi deve accompagnare? Che i genitori siano i primi accompagnatori è un’enunciazione ineccepibile, ma molto problematica dal punto di vista concreto, sia per gli adulti (che magari non vivono insieme), sia per i giovani, che si sottraggono a questo legame, ritenendolo, soprattutto nel mondo occidentale, non significativo, anche per la cesura che il mondo digitale ha prodotto tra le generazioni».
Chiara la logica delle parole «discernimento» – «il tempo giovanile è fatto per prendere decisioni che vanno accompagnate e considerate nel contesto complessivo della vita giovanile» – e «sinodalità» «che ha riscosso un indice di gradimento molto elevato. Parola-chiave, questa, ma anche di moda, quasi un modo per dire che la Chiesa è comunione. Personalmente, preferirei mantenere il termine sinodale nella sua accezione del decidere insieme un cammino, ascoltando chi ha voce e chi non l’ha. Per esempio è stato notato uno scarso coinvolgimento delle donne nel processo decisionale della Chiesa. I giovani sono chiamati a partecipare alla vita di una Chiesa sinodale e, anzi, a contribuire a disegnare questo volto e le autorità sono chiamate a vigilare perché la fretta o la presunzione o l’inerzia non persuadano a pratiche decisionali sbrigative, se non autoritarie».
Da ultimo, la riforma della Chiesa, «anche se questo contesto non è stato approfondito analiticamente e, semmai, si è guardato a come i giovani possano rendere più aperta e accogliente la Chiesa» e la missione che «nasce dalla responsabilità che, fin dall’inizio, il Signore ha lasciato ai discepoli, l’annuncio del Vangelo». Cosa che impone, evidentemente, una riflessione sui soggetti della missione stessa e su strutture come oratori, scuole, centri giovanili, movimenti: «Che i giovani siano coloro che sono incaricati della missione tra i giovani sembra la strada più promettente. La questione della presenza dei giovani cristiani negli ambienti dei loro coetanei è cruciale. Dobbiamo essere come un fermento, perché la modalità della missione non è il proselitismo, ma l’annuncio. Il problema non è tanto convincere tutti, arrivare dappertutto, che sarebbe impossibile, ma se lo stile di vita indica una luminosità di testimonianza che attiri tutti».
Infine, prima della proiezione del docufilm, presentato da don Gianluca Bernardini (presidente Acec di Milano e referente diocesano per le Sale della comunità), alcune domande relative alla Chiesa vista, nel suo complesso, durante i lavori e su cosa fare per le ricadute territoriali del Sinodo. «Non ho ancora un’idea precisa – risponde l’Arcivescovo- e chiedo a tutti i sacerdoti di collaborare in vista di scelte edificanti. Ho visto una Chiesa, non certo trionfante – anche se vi sono Vescovi entusiasti -, ma penitente nel senso di riconoscere i propri sbagli, di confessare le proprie inadempienze rispetto alla missione. I testimoni di Chiese perseguitate come in Iraq e in Africa hanno definito un aspetto di martirio, ma anche di germoglio, per una presenza ecclesiale importante in situazioni che sarebbero altrimenti disperate. Il clima diversificato delle Chiese non è riducibile solo a un tratto unificante».