Nel percorso che ha portato il 34enne di Monticello all’ordinazione del 9 giugno in Duomo c’è un’esperienza nell’Operazione Mato Grosso e i primi anni nel Seminario di Huari: «La missione è costitutiva dell’essere cristiano, là ho colto il valore vero dell’Eucaristia»
di Ylenia
Spinelli
Tra le tante storie vocazionali dei preti 2018 abbiamo scelto quella di Simone Riva, 34enne di Monticello Brianza, segnata da un’esperienza forte in Perù. È proprio nella diocesi di Huari – che accoglie la spiritualità dell’Operazione Mato Grosso, movimento di cui ha fatto parte sin dall’età di 16 anni – che Simone è entrato in Seminario.
Cresciuto in oratorio, bravo studente di liceo, appassionato di calcio e dedito al volontariato, da ragazzo pensava di costruirsi una famiglia con tanti figli. Ma poi il percorso non è stato così lineare. «La vita non è stata tenera e il rapporto con la Chiesa come istituzione non è stato sempre pacifico – confessa -. Poi la malattia di mia madre mi ha portato ad approfondire le domande legate al senso della vita e della fede e a considerare Gesù come un compagno di viaggio che potesse modificare la qualità della mia esistenza e delle cose che facevo, dando un senso profondo a tutto».
Alle domande che hanno cominciato ad abitare il suo cuore Simone ha trovato le risposte nella vita reale e in particolare guardando a padre Battista Brugali, prete della diocesi di Milano, appartenente all’Operazione Mato Grosso, in Ecuador dal 1994. «È stato lui che mi ha accompagnato nella mia prima esperienza missionaria a vent’anni, nel 2004 – ricorda il futuro prete -. Con la sua vita e la sua fede mi ha testimoniato il suo modo di essere presbitero, dedito alla preghiera, alla carità e agli altri».
Da qui la scelta di entrare in Seminario direttamente in Perù, nel 2010. «Vi sono rimasto tre anni e mezzo – prosegue Riva -. Poi, approfondendo e rileggendo la mia vocazione, ho deciso di ritornare in Italia e ho chiesto di essere ammesso nel Seminario di Milano, in seconda teologia, passando anche attraverso la Comunità non residenti».
Ma quell’esperienza in terra di missione lo ha segnato profondamente e ha contribuito ad arricchire il suo percorso di vita e spirituale. «In Perù ho colto il valore vero dell’Eucaristia che non avevo recepito in tanti anni di iniziazione cristiana», spiega e aggiunge: «Preparare i bambini peruviani alla prima Comunione e insegnare loro a pregare ha mosso profondamente il mio vissuto di fede, regalandomi un approccio all’Eucaristia più personale e sostanziale».
Le giornate in Seminario a Pomallucay erano sostanzialmente simili a quelle vissute a Venegono in termini di preghiera e studio; in più al pomeriggio c’erano due ore di lavoro per i più bisognosi, per costruire loro una casa e questo ha cambiato profondamente il modo di approcciarsi alla povertà. «Quando aiuti un povero il rischio è sempre quello di porsi in una situazione di superiorità – spiega Simone -. In Perù invece vivi con loro e quando condividi con i più bisognosi un tetto e il pasto, ti riconoscono come un fratello». Ma per Simone la missione non è l’eccezionalità, «come ci ricorda papa Francesco, è costitutiva e fondante l’essere cristiano».
Pur non escludendo la possibilità di fare il prete fidei donum, ora si mette nelle mani della Chiesa di Milano, convinto che la sua prima missione sia «stare qui dove il Vescovo mi chiede».