L'Arcivescovo ha presieduto, in una Basilica di Sant'Ambrogio gremita, la Celebrazione eucaristica per i Giubilei delle Religiose e dei Religiosi. «Comunicate gioia e speranza»

di Annamaria Braccini

giubilei religiosi 2019 G
L'Arcivescovo durante una celebrazione dei giubilei degli anni scorsi

Essere come un canto del Magnificat per il mondo, proclamando che il Signore è vivo.
Dice così l’Arcivescovo – parlando di un «commovente convergere» -, alle centinaia di Consacrate che affollano la Basilica di Sant’Ambrogio, per i Giubilei delle Religiose e, quest’anno, anche dei Religiosi.
L’Eucaristia, presieduta dal vescovo Mario, concelebrata dagli Ausiliari e Vicari per la Vita Consacrata femminile e maschile, monsignor Luigi Stucchi e monsignor Paolo Martinelli, dall’abate di “Sant’Ambrogio”, monsignor Carlo Faccendini e da una ventina di sacerdoti, viene definitna «festosa occasione», dalla madre generale delle “Marcelline”, suor Mariangela Agostoni, 50 anni di Consacrazione, che porta il saluto iniziale a nome di tutti i festeggiati, nei loro 15, 25, 40, 50, 60, 70 anni di anniversario.
«Con atteggiamento filiale e fraterno chiediamo l’aiuto della sua preghiera, affinché la nostra esistenza possa annunciare in pienezza la gioia del Risorto. Solo così i nostri voti di castità, povertà e obbedienza, saranno strumenti che rafforzeranno l’offerta della nostra vita a Cristo». Chiesa per il bene di ogni uomo, qualunque sia il suo credo o colore della pelle».
Il ringraziamento è per il Sinodo “Chiesa dalle genti”, «intuizione profetica che ci ha indotto a vivere, con rinnovata umanità e consapevolezza, la nostra solidarietà con fratelli e sorelle venuti da Paesi lontani».

L’omelia

Dalle Letture prende avvio la riflessione dell’Arcivescovo, che parla di una ricerca sbagliata – cercare tra i morti colui che è vivo -; di una sapienza errata – quella dei dominatori di questo mondo – e di un rimorso altrettanto sbagliato, che genera tristezza.
«La ricerca ispirata dalla rassegnazione alla morte si rivolge alle consolazioni palliative, mendica briciole di soddisfazione nel riconoscimento degli altri, nella sistemazione rassicurante, nel ruolo prestigioso, nella gratificazione di affetti possessivi. Anche nella vita consacrata si può insinuare la tentazione di una ricerca sbagliata che non si aspetta più nulla da Gesù e ne coltiva la memoria come di un amore di gioventù».
Insomma, quel modo di vivere che è solo sopravvivere, suggerisce.
È, poi, c’è anche la sapienza sbagliata che «è quella che ha buoni argomenti per sedurre e convincere a tenersi lontano dalla verità di Gesù, occupando la mente e il cuore con pensieri mondani, con discorsi banali, con interessi rivolti a cose da nulla. L’attrattiva dell’ultima notizia, l’interesse per l’evento curioso o clamoroso, il puntiglio di sentirsi più aggiornati o più acuti degli altri, talora, possono occupare la mente, così che le Comunità di vita consacrata possono ammalarsi di tante chiacchiere, di pettegolezzi, di discussioni puntigliose e giudizi sprezzanti. La sapienza sbagliata è quella che, invece di rendere sapienti, rende conformisti e scettici, superficiali o disperati».
Infine un terzo passaggio: «I rimorsi sbagliati vengono da un’ossessione nel ricordare i peccati passati, nel rimpianto per quello che poteva essere e non è stato, nella constatazione deprimente di risultati troppo mediocri, nel rammarico per rapporti che si sono spezzati e mai più ricostruiti. I rimorsi sbagliati sono quelli che invece di rendere umili, inducono alla depressione, invece di condurre a decisioni di riconciliazione coltivano il risentimento e la rivendicazione. I rimorsi sbagliati avvelenano anche le feste, inquinano anche le gioie, impediscono la speranza perché trattengono nel passato e nello scoraggiamento, inducendo le persone a rileggere la loro vita come un fallimento, come un sogno di santità sfumato irrimediabilmente. Per questo, talvolta, serpeggia un clima di tristezza e di rassegnazione».
A tutto questo si contrappone la vita vera, nell’incontro quotidiano con il Cristo risorto.
«La festa per il giubileo è l’occasione per riconoscere che Dio si è manifestato nello Spirito e che la sua potenza dà fondamento a una fede che si rinnova di gloria in gloria. Quello che conta non è il ruolo che si riveste, non l’efficienza, l’essere aggiornati o più avanti degli altri, ma è la gloria di Dio che si manifesta nell’amore. Noi rimaniamo vivi, perché continuiamo ad amare», magari anche dopo 60 o 70 anni di Consacrazione.
«L’esperienza della fede che la celebrazione del giubileo può rinnovare è l’esperienza di un nuovo affidamento: Dio è più grande del nostro cuore, la sua misericordia è capace di penetrare ogni angolo della nostra vita, anche quelli bui. Perciò il passato, il presente, il futuro di chi celebra nella fede la sua Consacrazione sono orientati alla ricerca giusta che desidera l’incontro con il Cristo vivo; alla sapienza vera che contempla il Crocifisso, al pentimento fiducioso che ci apre alla gioia di essere perdonati e non al rimorso che ci induce a farci sentire dei falliti».
Da qui la consegna: «Continua la ricerca giusta, l’incontro con il vivente; la mente si illumini della sapienza giusta, quella fondata sulla sapienza della Croce; nell’animo abiti, invece del rimorso sbagliato, l’immensa gratitudine».

E, alla fine, dopo aver rinnovato i voti, anche con il gesto simbolico e suggestivo dell’accensione di piccole fiammelle, dall’Arcivescovo arriva ancora un auspicio.
«Vi ringrazio per tutto il bene che fate e vi incoraggio a comunicare la vostra gioia. Vi esorto a essere un Magnificat per tutti quelli che vi incontrano, soprattutto state vicino ai ragazzi e alle ragazze di oggi, cantate il Magnificat anche per loro». Con il titolo della Esortazione postsinodale di papa Francesco, dedicata proprio ai giovani, “Christus vivit”, per seminare gioia e speranza e far intuire a loro la bellezza della vocazione».

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