Parla don Luigi Rivolta, fidei donum in Camerun dal 2013: «Accettarci come siamo anche per loro non è scontato e la fatica è reciproca, chiede pazienza e ascolto»
È bastata una telefonata informale dell’ufficio di Pastorale missionaria per convincere don Luigi Rivolta a partire come fidei donum. Non gli era stato comunicato «né il luogo né il continente – racconta oggi -, mi hanno lasciato tempo di riflessione e di fare discernimento, poi ho dato la mia disponibilità».
È partito nel febbraio 2013 per il Camerun: destinazione una parrocchia della Savana a Djalingo dove ha trascorso i primi due anni da vicario con il parroco don Maurizio Cuccolo. «Nel 2015 mi sono spostato in città, a Garoua, in un quartiere periferico, dove sono l’unico prete presente della Diocesi di Milano. Sono nella regione del nord, ma non dove c’era Boko Haram, in una zona a vocazione agricola, povera; diversi invece il centro e il sud, dove si trovano la capitale Yaoundé e soprattutto Douala, capitale economica sul litorale, che ha un porto per lo scambio di merci col resto del mondo».
La popolazione camerunese non è tra quelle che emigrano di più, gli spostamenti sono piuttosto interni al Paese, appunto verso il sud, dove è più facile trovare lavoro. Di solito sono le famiglie stesse a inviare qualcuno, che poi deve sobbarcarsi l’intero clan familiare senza poter vivere in grande agiatezza. «Al nord l’unica possibilità è diventare contadino – continua don Luigi -, non ci sono grandi industrie e né catene di supermercati, ma solo piccoli negozi con vendita al dettaglio che danno lo stretto necessario a sopravvivere. Le donne, attraverso mille strategie, trovano il modo di sostenere la famiglia col commercio di qualche prodotto». Gli unici a passarsela bene sono i lavoratori statali (polizia, esercito, sicurezza pubblica) o insegnanti. «Il nostro primo compito è quello di una presenza – spiega il missionario -, stare in mezzo a loro e condividere fatiche, gioie, stile di vita e condizioni. Questo ci dà l’opportunità di ascoltare e comprendere quali sono i reali bisogni, le prospettive e i desideri di queste persone. Camminiamo accanto a loro e insieme cerchiamo le possibili risposte alle loro necessità». Per esempio, grazie alla Caritas e alle comunità di base, don Luigi è riuscito a offrire sostegno scolastico a oltre un centinaio di ragazzi, tutti della sua parrocchia, orfani o senza un genitore che garantisse di pagare gli studi. «I bisogni sono svariati – dice il fidei donum -, si va dalla formazione, ai problemi sanitari e di salute, fino al sostegno con la preghiera per le situazioni difficili, le persone infatti hanno bisogno della vicinanza della comunità».
Don Luigi è molto riconoscente verso la Chiesa di Milano, da cui ha ricevuto molto: «La fede, l’incontro con una comunità vivace, ricca di proposte e attività». Oggi vive in un contesto ben diverso, dove la ricchezza assume forme diverse: la dimensione comunitaria, la stima per il sacerdote considerato «segno della presenza di Cristo in mezzo al suo popolo», il senso di appartenenza alla comunità ecclesiale, ai gruppi e ai movimenti, che si esprime anche nell’indossare «divise colorate che li contraddistinguono». È un’esperienza «molto bella» quella che sta vivendo in mezzo alla sua gente, anche se «accettarci così come siamo anche per loro non è scontato e la fatica è reciproca, chiede pazienza e ascolto».