L’Arcivescovo, in Duomo, ha presieduto i Vesperi primi nel Triduo dell’Esaltazione della Santa Croce, con il Rito della Nivola. Nella celebrazione, presenti molti fedeli ucraini, si è pregato per la pace
di Annamaria
Braccini
«Il Santo Chiodo, nei secoli, ha percorso più volte le vie di Milano, perché gli arcivescovi e i milanesi credenti hanno desiderato che il suo segno raggiungesse tutti gli abitanti della città, che fosse un messaggio per dire la sovrabbondanza della grazia, per comunicare la chiamata a conversione, la via da seguire per costruire una città viva, fraterna, fiduciosa. Perciò noi siamo qui radunati, insieme con i rappresentanti della Comunità ucraina, per essere capaci di costruire la pace, di amare, di testimoniare la verità, di avere radici profonde per portare molti frutti di bene nella giustizia, nella solidarietà, nell’attenzione ai più deboli».
Il Rito della Nivola
Nella giornata in cui la celebrazione dei Vesperi primi del Triduo dell’Esaltazione della Santa Croce con il tradizionale Rito della Nivola, si tinge di un significato ancor più profondo, attraverso la preghiera per la Pace voluta in tutte le Diocesi dalla Conferenza Episcopale Italiana, è l’Arcivescovo, cui sono accanto i Canonici del Capitolo metropolitano, a ricordare il senso vero del Santo Chiodo. La reliquia più preziosa della nostra Chiesa, simbolo della Passione, la cui presenza è attestata fin dal 1263 nella basilica di Santa Tecla e, in Duomo, dal 1461; reliquia particolarmente cara a san Carlo, come a tutti i suoi successori, che, appunto, stretta tra le mani del vescovo Mario, “scende” dalla sua consueta collocazione, a 42 metri di altezza, per essere posizionata in altare maggiore, dove rimarrà esposta alla venerazione dei fedeli fino al termine del Triduo, nella Messa Capitolare infra Vesperas.
E, così, se ad attirare l’attenzione dei molti presenti in Cattedrale è, appunto, il Rito con cui, sulla “Nivola” – la sorta di “ascensore” cinquecentesco a forma di nuvola magnificamente decorato – l’Arcivescovo sale fino alla sommità della volta absidale, ridiscendendone con la grande croce lignea dorata che contiene il Santo Chiodo, il pensiero non può che andare al di là della suggestione rituale. Specie quest’anno di fronte al dramma della guerra, con i fedeli ucraini (alcuni di loro vestono gli abiti tipici della loro tradizione) in ginocchio nelle prime file del Duomo. Tre i sacerdoti dell’Esarcato apostolico ucraino di Rito bizantino presenti: i padri Igor Krupa Volodymyr Misterman e Tars Ostafiin, rispettivamente cappellani delle Comunità di Milano, Varese-Meda-Gallarate e di Monza.
Milano: il Santo Chiodo ti interroga
A tutti i presenti si rivolge l’omelia del vescovo Mario che è come un appello all’intera città perché in ogni ambiente della vita quotidiana si «iscriva il segno del Santo Chiodo».
Perché nella «Milano, centro d’Europa, delle molte lingue, dei soldi e degli affari senza frontiere; nella Milano scandalizzata dalla guerra, il Santo Chiodo dica del prezzo della pace, inviti a operare per la pace, ad accogliere i popoli per essere laboratorio di pace, casa per incontrarsi, gratitudine perché il muro dell’inimicizia è stato abbattuto e il principio della riconciliazione è il sangue dell’alleanza».
E ancora: «Milano «devota, credente, fiera della tua storia di fede, sii disponibile a dare non solo cose, ma a essere chiesa dalle genti, a servire la pace entro i tuoi confini e in ogni parte del mondo. Milano curiosa che cosa ti indica il segno del Santo Chiodo, che cosa dice? Il Santo Chiodo dice della serietà della vita, della necessità raccogliere le parole serie e distinguerle dalle chiacchiere dell’intrattenimento. Milano che non ha mai tempo, Milano che è sempre avanti, degli eventi e del lavoro senza orario, il Santo Chiodo chiama a sostare, a tenere fisso lo sguardo su Colui che è stato trafitto, ad aver tempo per salvare l’anima dall’inquietudine senza requie, a trovare le ragioni più profonde per la laboriosità costruttiva».
E, poi, quelle parole che suonano come un monito, se possibile, ancora più lacerante, che va dritto, appunto, al cuore: «Milano delle ingiustizie e della violenza, della malavita e degli affari sporchi, della miseria senza casa, dei quartieri dove è meglio non passare, del degrado e della babele, il Santo Chiodo trafigge il cuore, come il cuore e la mente del ladrone appeso alla croce con Gesù, per invitare a pentimento, a conversione, alla promessa che un’altra vita è possibile. Milano della brava gente, della gente tranquilla, il Santo Chiodo ti scomoda, ti interroga, ti propone di trovare sicurezza nella fraternità che vince la solitudine piuttosto che nelle porte corazzate e nell’anonimato dei citofoni».
Come a dire che costruire una comunità dal volto umano è ancora e sempre possibile, anzitutto divenendo artigiani di pace e di fraternità e se si si invoca il «dono della pace per il martoriato popolo ucraino e per tutti i popoli feriti dalle guerre», come viene chiesto nella preghiera di intercessione, prima della benedizione impartita dall’Arcivescovo con la croce contenente il Santo Chiodo.
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