Per la prima volta dallo scoppio del conflitto in Ucraina l’Arcivescovo maggiore prende la parola in un evento pubblico con voce commossa, spezzata dalle lacrime
di Maria Chiara
Biagioni
Agensir
Città completamente rase al suolo, leader religiosi messi sulla lista delle persone da uccidere, infiltrati nella cattedrale di Kiev pronti ad attaccare, fosse comuni, deportazioni forzate, sciacallaggi per trasportare le persone fuori dalle città con prezzi che arrivano anche a mille dollari al passaggio. È il “racconto” drammatico, a tratti apocalittico, quello che l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco cattolica ucraina, ha offerto in video conferenza al Pontificio Istituto Orientale.
«Invasione pianificata»
È la prima volta dallo scoppio del conflitto in Ucraina, che l’Arcivescovo maggiore prende la parola in un evento pubblico. Lo fa con voce commossa, spezzata dalle lacrime: «Non lasciateci soli nel nostro dolore. Nessuno è preparato alla guerra, tranne i criminali che la pianificano e la mettono in atto – dice subito -. È stato uno choc. Ma era evidente che si trattava di una invasione ben pianificata».
Il suo nome come quello di altri leader religiosi era stato messo sulla lista delle persone da “eliminare”: «Abbiamo poi scoperto che nella comunità parrocchiale della cattedrale di Kiev si erano infiltrate delle persone che costituivano un gruppo di assalto pronto ad attaccare». Si erano infiltrati nel coro e nei gruppi giovanili. «Avevano nomi, cognomi, indirizzi». Anche la cattedrale era stata “marcata” da ricetrasmettitori per essere attaccata dai missili. «Ma io oggi vi parlo da Kiev ed è un miracolo – dice Shevchuk -. Si vede che la forza del popolo ucraino si sta rivelando un miracolo che sorprende il mondo». L’Arcivescovo ha incontrato il sindaco di Kiev. In città è rimasto un milione di persone. Significa che i due terzi degli abitanti è andato via. «Più del pane – ha detto il sindaco a monsignor Shevchuk – abbiamo bisogno di parole di conforto e di speranza che solo che Chiesa ci può dare».
Le zone più critiche
È una guerra di distruzione totale con bombardamenti a tappeto da cielo, terra e mare. 200 mila soldati russi sono entrati nel Paese e in questi 34 giorni di conflitto sono stati lanciati 1.300 razzi. L’arcivescovo maggiore di Kiev fa “il punto” sulla situazione oggi in Ucraina, elencando le zone più critiche. Kharkiv, a 40 chilometri dalla Russia, è stata rasa al suolo. Tutti i monumenti e gli edifici storici sono stati distrutti. Anche Chernihiv è stata rasa al suolo e chi è rimasto, è senza luce e riscaldamento e la distruzione del ponte impedisce sia l’arrivo degli aiuti umanitari sia l’avvio dei corridoi umanitari.
E poi, Mariupol, la città martire diventata famosa per le immagini di distruzioni a tappeto. La città è ricoperta non solo di macerie ma anche di morti. I corpi sono stati gettati nelle fosse comuni ma «oggi – osserva con infinita tristezza l’arcivescovo – non c’è più nessuno da seppellire». Qui a Mariupol per uscire dalla città vengono chiesti addirittura 1.000 dollari. Solo chi ha i soldi può prendere la macchina. «Sono venuti anche per spogliarci», dice Shevchuk.
Nel Donbass invece è in atto una vera e propria deportazione forzata della gente. Le persone vengono deportate in Russia con la forza, i loro passaporti vengono confiscati, gli vengono rilasciati documenti temporanei. «È quello che accadeva durante il periodo di Stalin», ricorda Shevchuk. La stessa cosa sta accadendo oggi sul suolo ucraino.
Il prezzo pagato dalle Chiese
Altissimo il prezzo pagato con il sangue delle Chiese in questo drammatico mese di invasione russa in terra ucraina. A parlarne è l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andriy Yurash: 60 le chiese in parte o completamente distrutte; 3 preti della Chiesa ortodossa ucraina morti e 2 preti della Chiesa ortodossa legata al Patriarcato di Mosca uccisi. L’ambasciatore ha elogiato «la grande missione» che le chiese in Ucraina stanno svolgendo a fianco delle persone.
Ci sono vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose che hanno deciso di rimanere in città, anche a rischio di bombardamenti e attacchi continui, per restare a fianco della popolazione. Chiese diventate hub. Cattedrali che hanno accolto nei sotterranei e nelle cripte le persone, soprattutto donne, bambini e anziani. Curie trasformate in centri di ricezione e distribuzione degli aiuti umanitari. «In molte città le porte delle chiese sono rimaste aperte», ha detto l’ambasciatore che ha ricordato anche il ruolo importante che i cappellani militari stanno svolgendo per supportare i soldati e i messaggi quotidiani di Sua Beatitudine Sviatoslav che sono ogni giorno «fonte di conoscenza e spiegazione di quello che sta succedendo in Ucraina».
Triste ritorno al passato
«Quelli che dovevano essere anni per guardare al futuro, nelle ultime settimane si sono trasformate in un triste ritorno al passato. Non solo della Chiesa greco-cattolica ucraina, ma dell’Europa e del mondo intero cui sembra non aver imparato dalla storia anche recente l’orrore causato dalla devastazione della guerra, la follia cieca e distruttrice delle armi – lo ha detto il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali -. In queste settimane anche Papa Francesco si è fatto voce di coloro che soffrono, denunciando l’aggressione e l’invasione e chiedendo non solo per l’oggi ma anche per il prossimo futuro la fattiva solidarietà delle comunità cristiane e del mondo intero per tutti coloro che sono vittime di questo conflitto, lasciati nell’indigenza, sotto le bombe o costretti a partire per mettere in salvo la propria famiglia».
Il Cardinale ha quindi auspicato che si arrivi presto a «una pace – ha detto – fatta di cessazione dell’uso delle armi, di rispetto della giustizia e del diritto internazionale, di progressiva guarigione delle ferite e anche della riconciliazione».