Redazione
La flessibilità del lavoro, la sottoccupazione, la crisi della famiglia. Difficoltà dei nostri giorni che tolgono stabilità alle persone rendendole degli “equilibristi” della vita. Eugenio Zucchetti, sociologo dell’Università Cattolica, traccia un quadro della situazione a partire dai dati del sesto rapporto sulle povertà.
di Paolo Ferrario
«La povertà è ancora un fenomeno critico, emergenziale, che tocca alcune fasce sociali, ma paradossalmente rischia di diventare anche un fatto più diffuso e quotidiano, più “normale”. Per questo, il concetto di “equilibristi” rende bene l’idea del nuovo contesto sociale della povertà». Dati alla mano, il sociologo dell’Università Cattolica, Eugenio Zucchetti, analizza così il sesto Rapporto sulla povertà in diocesi di Milano, presentato da Caritas Ambrosiana. «Credo che il Rapporto – spiega – ci consenta di cogliere un nodo fondamentale: stanno saltando i vecchi equilibri che regolavano e tenevano insieme la società fin qui: il lavoro, la famiglia e il welfare».
Come si sta manifestando questa novità?
Partiamo dal lavoro e dalla sua flessibilità. Oggi, la disoccupazione non è più non avere un lavoro, ma magari averne solo un pezzo, fare uno stage, poi un lavoretto e così via. E qui vengono fuori i primi equilibristi, cioè gli stranieri, che sono l’icona dell’instabilità del lavoro e hanno bisogno di avere un’occupazione il più possibile stabile, che fornisca un reddito, perché hanno la famiglia o hanno ricongiunto la famiglia di origine.
Questo ragionamento, vale anche per gli italiani?
In senso inverso. Gli italiani sono equilibristi perché non hanno la famiglia. E, più degli stranieri, gli italiani che si rivolgono ai Centri d’ascolto sono individui soli.
E qui entra in gioco la crisi della famiglia…
Certamente. Le famiglie sperimentano sempre di più fratture e fragilità e questo crea nuovi fabbisogni di singole persone, donne in particolare, soprattutto se sono capofamiglia, ma anche uomini, che hanno un problema di reddito. A questo riguardo, tutto diventa ancora più grave laddove sono coinvolte persone che non hanno capacità di accumulazione, che cioè non hanno capacità di accumulare un patrimonio mobile e immobile.
Può fare un esempio?
Chi compra la seconda casa? Chi ha la casa in proprietà. Chi è in affitto e fa fatica a pagarlo, è difficile che riesca ad accumulare soldi, tanto meno per comprasi la casa, ma anche per acquistare quei beni e servizi che servono, per esempio, ai figli piccoli.
Per gli italiani, il Rapporto segnala, tra le richieste, il “sostegno personale”: come se lo spiega?
Questo è un aspetto che mi ha molto colpito e mi suggerisce una riflessione. Oggi, si dice ai giovani, ma anche agli adulti, che devono essere imprenditori di sé stessi, essere attivi, darsi da fare. Credo che questo invito rischi di essere retorico, un po’ ipocrita e anche frustrante per le persone cui viene rivolto. Non si può solo fare la predica, perchè c’è anche un problema, come ricorda l’economista Amartya Senn, di “capability”, di capacità, cioè, di tradurre le risorse e i beni in libertà, in possibilità di scelta, responsabilità e autonomia. Tutto questo non è per alcuni possibile, se non si mettono in atto interventi di formazione e di accompagnamento.
Si riferisce alla necessità di ripensare lo stato sociale, il welfare?
La struttura del welfare è saltata e la Caritas e il non profit svolgono un ruolo sussidiario. In Italia, il welfare finora aveva delegato e scaricato le tensioni sulla famiglia e sul lavoro, ma oggi in crisi in lavoro e in crisi la famiglia, anche questa delega non regge più e le persone si trovano letteralmente in braghe di tela. E qui entra in campo la dimensione dinamica della povertà, che si traduce nella vulnerabilità sociale.
Chi colpisce, soprattutto?
Le persone che magari hanno un reddito sufficiente, ma che, da un momento all’altro, rischiano di cadere in difficoltà e povertà. Basta subentri un evento nuovo, come, per esempio, la perdita del lavoro, una malattia, una crisi familiare. A queste situazioni di difficoltà, anche temporanee, la Caritas tenta di rispondere, ma occorrerebbe affiancare una rete più ampia dove anche il pubblico faccia la sua parte.
Quali gli interventi più urgenti da mettere in campo?
Il primo, grande tema è quello della casa a basso reddito: si sta facendo qualcosa ma ancora troppo poco. Poi ci sono i servizi: nidi aziendali, servizi per l’infanzia. In generale, c’è bisogno di un grande intervento che defamilizzi i servizi e non scarichi il peso dell’assistenza sulla famiglia, che da sola non ce la fa più, ma metta in campo politiche sociali nuove intrecciate con le politiche del lavoro.