Il teologo ha partecipato come esperto all’Assemblea dei vescovi: «In un’atmosfera di grande responsabilità e collaborazione è emersa una diagnosi franca e leale: c’è un clima di alleanza fra la Chiesa e le famiglie che vuole sinceramente ritornare in primo piano»
di Annamaria BRACCINI
Teologo di fama internazionale, preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, sacerdote ambrosiano, chiamato a partecipare al Sinodo sulla famiglia in veste di esperto. È monsignor Pierangelo Sequeri, che spiega anzitutto come sono stati vissuti i giorni dell’Assemblea: «Lo spirito prevalente mi è parso quello della responsabilità. Responsabilità c’è sempre naturalmente, ma in questo caso è comprensibile che ci fosse una tensione maggiore nei confronti del compito affidato. L’argomento, la famiglia, è un tema che va subito in presa diretta, non solo per la vita della Chiesa, ma anche per la vita e la cultura di tutte le società umane. Si parla, infatti, di un argomento che tocca la vita dell’uomo e della donna in tutto il mondo e la Chiesa, oltretutto, è ben determinata a confermare questa valenza universale e cruciale. Nello stesso tempo è un tema che non va più semplicemente “da sé”, entrando nel mirino delle trasformazioni culturali, dei conflitti ideologici, dell’approfondimento della dottrina e dell’aggiornamento pastorale che vi è indissolubilmente connesso».
C’e stato il desiderio di incontrarsi e di confrontarsi?
L’ampliamento degli spazi di lavoro e di discussione fra i Vescovi ha rapidamente insediato la percezione di una responsabilità sentita in modo condiviso e di una scelta partecipata nel confrontarsi, per elaborare la prospettiva di evangelizzazione migliore possibile. La tensione iniziale è stata rapidamente sostituita dalla concentrazione e dalla partecipazione: i gruppi erano sempre più visibilmente soddisfatti del lavoro che andavano facendo. Infine, mi sembra che il clima conclusivo sia stato di grande e generale soddisfazione. Nonostante ciò che la comunicazione esterna ha spesso cercato di oscurare, la convinzione di un lavoro ben fatto, pur nella consapevolezza di miglioramenti, è stata la tonalità largamente dominante. Il frutto della riflessione, com’è nella natura del Sinodo, è affidato essenzialmente al Papa. Da lui verranno le indicazioni sul modo di trarre il migliore vantaggio dal lavoro fatto e le piste per proseguirlo.
L’Assemblea ha ben delineato le sfide che riguardano la famiglia nel tempo presente?
I Padri, come si evince dalla relazione finale, hanno incoraggiato una diagnosi franca e aperta, ma anche leale, nei confronti della vitalità cristiana che è già sul campo. Quindi, niente toni pessimisti o disfattisti, né a riguardo della società umana, né sulla Chiesa, come è stato raccomandato dalla stragrande maggioranza degli interventi. Non per questo si vuole cedere all’ingenuità e all’allineamento di circostanza con un ottimismo consolatorio e di maniera. Credo che il testo di sintesi restituisca la percezione di tale equilibrio come frutto di ponderazione dei problemi e di fiducia nello Spirito. È prevalso il rigore dell’onestà intellettuale e pastorale: ci sono temi di sfida, ci sono mutamenti da accompagnare, ci sono approfondimenti che ancora devono maturare, c’è un clima di alleanza fra la Chiesa e le famiglie che vuole sinceramente ritornare in primo piano. Questi diversi livelli di applicazione dell’impegno ecclesiale sono stati espressi nella forma in cui si trovano nella realtà. Averli restituiti nella loro dimensione effettiva non è frutto di reticenza o di compromesso, come si è detto: è un atto di onestà che incoraggia la consapevolezza dell’impegno che ci attende.
Il Sinodo è un punto di partenza per ripensare, nelle realtà locali, la centralità evangelizzatrice della famiglia. Qual è, in questo contesto, l’indicazione più rilevante emersa dai Lavori?
L’idea centrale è che il terreno della verità evangelica, che mette alla prova il parlare e l’agire cristiano, è quello della concretezza della storia degli uomini e delle donne, a cominciare da coloro che Dio chiama come suoi discepoli e discepole e ai quali affida questo tempo e questa storia. Questo significa che lo spessore del rapporto locale fra i Pastori e i fedeli è destinato a prendere rilievo crescente, non per una questione di democrazia o di sussidiarietà politica, ma per il necessario recupero della concretezza del Ministero pastorale e dell’autorità episcopale con le persone effettivamente iscritte il quel contesto. È così che si vince la sfida della condivisione dell’unica fede, dell’unico Battesimo, dell’unica Eucaristia. E possiamo anche dire, dell’unico sacramento cristiano dell’unione dell’uomo e della donna che fa la famiglia. E anche la Chiesa.