Lo ha detto il Prefetto della Congregazione delle cause dei santi nell’omelia della cerimonia di beatificazione del giudice
di Riccardo
Benotti
Il «segreto della santità» è «rimanere nell’amore di Cristo», ed è «una situazione che si fa drammaticamente evidente nei momenti di crisi, nei momenti in cui “essere cristiani” non è più qualcosa di scontato e diventa, anzi, cosa scomoda, schernita, rischiosa, pericolosa». Lo ha detto ieri il cardinale Marcello Semeraro, perfetto della Congregazione delle cause dei santi, nell’omelia della cerimonia di beatificazione del giudice Rosario Livatino ad Agrigento.
Nella vita del martire Livatino, ha ricordato il cardinale, ritorna «il motto S.T.D. che ordinariamente s’intende come Sub Tutela Dei e che il nostro beato inseriva, magari sovrastato dal segno della Croce, in pagine speciali dei suoi scritti. I giusti, scriveva un autore del XII secolo, si collocano sotto la Croce, si pongono, cioè, sub tutela divinae protectionis e così si saziano dei frutti dell’albero della vita. È quanto è accaduto al giudice Livatino, il quale è morto perdonando come Gesù ai suoi uccisori». È questo, per il cardinale Semeraro, «il valore ultimo delle sue estreme parole, dove sentiamo l’eco del lamento di Dio e il pianto del giusto, che la liturgia del Venerdì santo pone tradizionalmente sulle labbra del Crocifisso, dove non è un rimprovero e neppure una sentenza di condanna, ma un invito sofferto a riflettere sulle proprie azioni, a ripensare la propria vita, a convertirsi».
«Considerando la vicenda di Rosario Livatino ci tornano vivide alla memoria le parole di san Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. Il nostro Beato lo fu nel martirio», ha concluso il prefetto: «Credibilità fu per lui la coerenza piena e invincibile tra fede cristiana e vita. Livatino rivendicò, infatti, l’unità fondamentale della persona; una unità che vale e si fa valere in ogni sfera della vita: personale e sociale. Questa unità Livatino la visse in quanto cristiano, al punto da convincere i suoi avversari che l’unica possibilità che avevano per uccidere il giudice era quella di uccidere il cristiano».