Il Cardinale in Duomo, presenti mogli e figli, ha conferito l’ordinazione a cinque nuovi diaconi permanenti. «Comunicate nella logica della carità, la bellezza dell’essere presi a servizio per il bene della Chiesa e di tutta l’umanità»
di Annamaria BRACCINI
È in festa la Chiesa di Milano e idealmente la sua “casa”, la Cattedrale in cui si ritrovano in migliaia, tra le navate piene di luce. Nella solenne liturgia vigiliare, che apre l’ultima domenica dell’Anno liturgico, in Duomo, il cardinale Scola conferisce, per l’imposizione delle sue mani e la preghiera, l’Ordinazione diaconale a cinque candidati. Di età compresa tra i quaranta e i cinquantasei anni, impegnati, tre, nel mondo aziendale, un medico e un insegnante, i nuovi Diaconi permanenti si aggiungono ai 139 che operano nella nostra Chiesa, da quando nel 1987, il cardinale Martini, seguendo le indicazioni conciliari, ripristinò questo antico ministero in Diocesi.
Tutti sposati con figli – uno dei cinque, di origine scozzese, è padre di sei bimbi tra cui una neonata -, gli Ordinandi vengono, appunto, accompagnati, nella Celebrazione, dalle mogli che siedono dietro di loro di fronte all’Altare maggiore, dove concelebrano tre Vescovi, tra cui il vicario generale, monsignor Mario Delpini, responsabile del Consiglio per il Diaconato, i Vicari Episcopali e una quarantina di sacerdoti con il rettore per la Formazione al Diaconato permanente, don Giuseppe Como. Una cinquantina i confratelli Diaconi che non hanno voluto mancare a questo importante momento che rende ancor più solenne la festa di “Cristo Re”.
Lo sottolinea l’Arcivescovo, definendo nella regalità di Cristo – «che nulla la che fare con la concezione mondana del termine» – la signoria del Signore vivo che ha vinto per sempre la morte, «annunciando la nostra liberazione» e portandoci «alla libertà dei figli di Dio».
Una libertà «non autonoma che si crede capace di auto-compimento», ma vera, che schiude «a tutti gli uomini e a tutte le donne la possibilità di donare la propria vita, compiendola nel servizio e nella lode senza fine a Cristo Re e, attraverso Lui morto e risorto, alla Trinità».
È la croce che diventa fonte del Regno, che, da segno di ignominia, si fa strumento di gloria: «Gesù attua la missione che il Padre gli ha affidato, consegnandosi in totale libertà alla croce. Il mistero pasquale di morte e risurrezione è l’istaurarsi del regno di Dio, in modo definitivo, già sperimentabile come caparra nella nostra storia personale – basta pensare all’Eucaristia-, e in quella di tutta l’umanità».
Ed è sempre in questa Regalità, adeguatamente intesa, che si trova «la sorgente e la forma» del Ministero del Diaconato permanente, in una dinamica di servizio, carità e impegno, peraltro, ben identificata dal motto, tratto dal Vangelo di Marco, scelto dai neo Ordinati, “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti è servo di tutti”.
Insomma, un farsi prossimo, che dà il senso compiuto di tale Diaconia permanente, “chinata” verso gli altri e con lo sguardo rivolto sempre al Maestro crocifisso, alla quale si arriva attraverso cammini di preparazione intensa che, con il nuovo “Direttorio per il Diaconato”, entrato in vigore il 19 marzo scorso, prevedono un anno di discernimento, due si aspirantato e tre di candidatura.
«Non è quello di questo Re, potere di dominio, ma abbassamento fino all’umiliazione», ricorda a tutti il Cardinale, «se vogliamo, è l’onnipotenza della più totale impotenza. Il Ministero che ricevete non può essere in nessun modo una forma di potere. Questo invito è oggi rivolto in modo particolare a voi che siete chiamati ad assumere, per pura grazia, il Ministero diaconale, cioè, a lasciarvi prendere a servizio per il popolo santo di Dio e per il bene del mondo intero».
Ministero che trova il suo centro, dunque, proprio nel far presente, attraverso la carità in tutte le sue forme, il volto di Gesù: quel culmine della carità che è via verità e vita e conduce al Padre».
E questo perché tutti possano riconoscere in Lui il cammino, nella ricchezza dei diversi carismi e uffici, nella comunione ecclesiale di cui il Diaconato permanete è esempio eloquente e aperto al futuro, se solo si pensa al ruolo delle mogli dei Diaconi, all’appoggio offerto al coniuge – un “sì”, anche il loro –, al crescere di una spiritualità “nutrita” di famiglia. «Nei lavori della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi sulla vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo, i Padri Sinodali hanno molto insistito sulla centralità della famiglia come soggetto della proposta di Cristo, come soggetto di evangelizzazione. L’assenso che le vostre spose hanno dato al cammino vocazionale dei vostri mariti vi rende testimoni privilegiate di come la vita stessa, nelle sue relazioni costitutive e quotidiane, sia servizio alla Chiesa per il bene del mondo, perché tutti gli uomini possano conoscere e amare Gesù. Comunicate questo in tutte le circostanze favorevoli e sfavorevoli, nei rapporti facili o difficili, attraverso la logica della caritas», scandisce, infatti, l’Arcivescovo.
Il riferimento è ad avere il pensiero di Cristo, a essere presi a servizio che ci trasforma in una luce di comunione, in speranza per il mondo, «ancora troppo egoista nel suo nord».
Infine, l’auspicio: «Siate, anzitutto e in ogni cosa, a servizio della comunione, modalità di rapporto che poggia su una stima previa verso tutti in nome della comune appartenenza a Cristo. Questo, il vostro Arcivescovo, tutto il Presbiterio e il popolo di Dio vi domanda con forza il giorno della vostra Ordinazione».
Poi, i gesti significativi della Liturgia – con un momento particolarmente bello quando, ad aiutare gli Ordinati nel vestire gli abiti diaconali ci sono anche mogli e figli – e il saluto finale e di ringraziamento del Cardinale, anche lui applaudito, perché è il suo settantaquattresimo compleanno.
«Grazie», spiega, «per questo Ministero prezioso, talvolta non compreso e faticoso, ma che si sta delineando come decisivo per il presente e il futuro. È un bel segno che uomini nel pieno dell’energia lavorativa abbiano detto il loro sì».