Il Cardinale ha preso parte alla presentazione del volume “Servitore di Dio e dell’umanità. La biografia di Benedetto XVI”, scritta da Elio Guerriero con la prefazione di papa Francesco. L’Arcivescovo ha sottolineato la straordinaria portata della figura del Papa emerito, sapiente interprete della modernità
di Annamaria BRACCINI
Un libro che ne contiene molti di più. Non solo perché è la biografia di un uomo fondamentale e complesso nella storia non solo della Chiesa, ma perché è l’affresco di un’epoca. “Servitore di Dio e dell’umanità. La biografia di Benedetto XVI”, scritta da Elio Guerriero con la prefazione di papa Francesco (Le Scie/Mondadori, pagine 542, euro 24) è questo. E, infatti, la presentazione del volume, che si svolge presso lo storico Centro Culturale Francescano “Rosetum”, diviene un modo per parlare del Papa emerito, come è ovvio, ma anche per “raccontare” la temperie di tempi lontani come il nazismo, o vicinissimi come la crisi attuale. Sul palco, accanto all’autore, ci sono il cardinale Scola – è la prima volta che l’Arcivescovo è ospite a “Rosetum” -, il filosofo Silvano Petrosino e l’attore Giacomo Poretti.
Il dialogo
Moderato dal direttore artistico del Centro, padre Marco Finco, il dialogo si fa subito serrato.
«Nel volume ho contato 1266 note e 600 nomi citati che danno il senso di un libro che è una biografia, ma anche un saggio sulla storia dell’Europa, del pensiero e della teologia», nota Petrosino, che aggiunge: «Si capiscono molte cose attraverso queste pagine e, appunto, le note. Ciò è utile anche per un non credente, un non cattolico. Anche il titolo non è scontato perché non bisogna avere paura di dire che non sempre, nella storia, la religione è stata a servizio di Dio per il bene degli uomini. Al contrario, Ratzinger è veramente stato un servitore di Dio e dell’umanità».
Poi prende la parola il Cardinale che ricorda di aver conosciuto il Papa emerito nel 1971 e di avere con lui mantenuto, negli anni, amicizia e una viva collaborazione a diversi livelli, potendone «apprezzare la delicatezza». «Quando lo si definiva “il Cardinale Panzer”, più che arrabbiarmi, mi veniva da ridere», osserva ancora con un sorriso. «Il pregio fondamentale del volume è un incrocio tra cronaca, cronologia e pensiero. Ciò si deve alla competenza di Guerriero, attento al pensiero del Papa a partire dalle circostanze storiche che ha vissuto e dai rapporti che ha intrecciato. È una lettura sanamente impegnativa», spiega Scola, che fa riferimento ai tanti documenti, Encicliche, pronunciamenti, scritti ratzingeriani che tornano nel saggio.
Poi, una seconda osservazione. «L’autore ha ricostruito un fattore importante e decisivo: una costellazione di volti che hanno inciso sul percorso di Ratzinger e hanno segnato la modalità di esercizio del suo Ministero. Anzitutto, il peso della famiglia, l’intensità affettiva e le numerose volte in cui egli sottolinea il ruolo della famiglia come luogo di educazione dei figli, non solo della loro generazione. Quanto è importante un padre che fa vedere al figlio che prega e una mamma che, fronte alle difficoltà economiche, va a lavorare in una trattoria… E, poi, il rapporto singolare con il fratello musicista, l’essere stati ordinati lo stesso giorno, il legame che li unisce ancora oggi, il vincolo con la parrocchia».
Rilevantissima anche la relazione – non sempre facile – di Ratzinger con il mondo accademico econ chi gli si oppose al momento dell’abilitazione all’insegnamento universitario, come «la ripetuta dialettica con Küng che pure lo aveva fatto chiamare a Tubinga». Senza dimenticare i maestri: Agostino, cioè la ricerca insaziabile della verità, Bonaventura; nel presente, Romano Guardini che gli ha passato il gusto profondo per la liturgia e Von Balthasar. E, ancora, Tommaso Moro e Newman: «entrambi hanno una concezione precisa del rapporto tra la verità e il bene perché è un nesso costituivo. La verità è Gesù che viene al nostro incontro, luogo dell’esperienza simultanea del bene, del bello, del vero e dell’Uno. Anche oggi, il Papa emerito ha molto a cuore questa costellazione di volti, coltivata in un’amicizia sobria».
Due peculiarità
Infine, conclude l’Arcivescovo, le due grandi peculiarità, il «coraggio della fede, che lo sostiene anche nelle decisioni più complicate, e la sapienza evangelica. La rinuncia al Ministero petrino è esempio di tale coraggio, come pure il rimanere a vivere all’interno delle Mura vaticane, perché la sua scelta non potesse essere accolta come un’alternativa al successore. Da questo coraggio, anche noi vescovi e sacerdoti abbiamo molto da imparare, così come i laici perché spesso si perimetra lo spazio occupato e lo si difende accanitamente».
Sulla sapienza evangelica le parole del Cardinale divengono anche un monito per il presente: «Tutti sappiamo che il Papa emerito è uno dei più grandi pensatori del Novecento e di questo inizio di secolo. Si può definire questa intelligenza critica della fede, che è la sua teologia, sapienza. Il sapere non è un fenomeno libresco, perché la cultura cristiana è interna all’esperienza. La sua figura indica che solo chi ha l’esperienza dell’amore di Dio può dirlo. La conoscenza per esperienza è la sapienza».
Coraggio e sapienza: i due tratti che trovano la loro più bella e alta sintesi in quel saluto semplice che dalla Loggia vaticana, l’ormai Benedetto XVI, eletto da pochi minuti, rivolse al mondo: «Umile servitore nella vigna del Signore». «Non c’è niente da ridere sul Papa anche se si è cercato di molto di irriderlo. Perché sono qui è un mistero, però posso dire che il Papa emerito, in fatto di efficacia della fede e di romanzi, la pensa come me», spiega Poretti, in quello che più che un intervento è un gustosissimo e profondo monologo.
E, alla fine, è la volta dell’autore che evidenzia il tentativo di far emergere per intero la personalità di un Benedetto XVI, «segnato dalla sua origine mitteleuropea e dalla catastrofe della guerra. Da qui nasce l’idea di “servizio” che torna sempre, in tutte le fasi della vita di Ratzinger e anche – osserva Guerriero – la sua visione teologica, fondata sulla ricerca delle ragioni del credere in un mondo in cui sembrano prevalere le ragioni del non credere».
Dal rapporto imprescindibile tra ragione e fede, evidente fin dalla sua prima lezione all’Università di Bonn, all’apporto al Vaticano II come Padre conciliare – padre Congar disse, «meno male che c’è Ratzinger» -; dalla sintesi armonica del pensiero cristiano, basti pensare a “Introduzione al cristianesimo” del 1968 – “un’ancora di salvezza” la definisce l’autore – fino l’opera “Gesù di Nazaret” che nasce dal suo riscoprire Guardini e dal suo indicare in Cristo una persona viva, è un grande e magnifico cammino, quello che rappresenta la vita stessa del Papa emerito. «Pastore importante, Arcivescovo di Monaco, Cardinale a 50 anni, i cui fili caratterizzanti sono stati il coraggio dell’impopolarità, che nasce dal coraggio della verità e la riforma della Chiesa attraverso gli Anni straordinari dedicati a San Paolo, al Sacerdozio e alla fede. Un Papa che ha voluto incidere e ha inciso. Il suo è stato un forte richiamo ai valori spirituali e alla fede e così vano lette anche le sue dimissioni. Mi stava a cuore rendere ragione all’onesta di questa persona e all’immagine deformata che ne veniva data», conclude, tra gli applausi, l’autore.