Il Cardinale ha presieduto l’Eucaristia natalizia presso l’Istituto dei Ciechi di Milano. Davanti a molti non vedenti e al personale della storica istituzione, l’Arcivescovo ha richiamato la necessità dell’attenzione ai più deboli
di Annamaria BRACCINI
La Parola proclamata scorrendo il testo in alfabeto braille, le persone che affollano la splendida Sala Barozzi dell’Istituto dei Ciechi di Milano, la stessa ricorrenza liturgica in cui il cardinale Scola vi presiede l’Eucaristia, Santa Lucia, patrona dei non vedenti.
Tutto, in una tipica mattina grigia milanese, ma illuminata, all’interno della sede storica dell’Istituto, dalla luce e della gioia per l’imminente Natale, parlano di un momento atteso e preparato con cura da settimane. Infatti, quest’anno, a conclusione dei festeggiamenti per il 175esimo anniversario della “Casa” e il novantacinquesimo di fondazione dell’Unione Italiana dei Ciechi, non sono le diverse componenti dell’Istituto a recarsi dall’Arcivescovo per gli auguri, ma è lui a celebrare l’Eucaristia in via Vivaio, concelebrata dall’assistente ecclesiastico don Emilio Puricelli, davanti al presidente nazionale dell’Unione italiana Ciechi e Ipovedenti, Mario Barbuto, ai vertici dell’Istituzione milanese, al personale, a volontari e assistiti accompagnati dai familiari.
«Grazie per questo regalo che arriva in un momento particolarmente delicato per i ciechi milanesi. Noi, che abbiamo fatto la storia dell’educazione e della formazione dei ciechi italiani, oggi, proprio in questa città, siamo quelli che soffriamo di più», dice, in apertura, il Commissario straordinario Rodolfo Masto in riferimento ai tagli del sostegno economico pubblico che hanno interessato in modo pesante anche l’Istituto.
Situazione rispetto alla quale, «speriamo nell’impegno fattivo della politica e in quello solidale di tutti», aggiunge Masto, rivolto anche ai rappresentanti delle Istituzioni presenti come Giulio Gallera, assessore regionale per l’Inclusione sociale, da pochi giorni con delega al Welfare, che proprio qui, da giovane, ha fatto volontariato.
«Una persona non vedente formata e istruita riesce a inserirsi nella società: ognuno di noi potrebbe raccontare storie di uomini, donne e famiglie che hanno saputo superare le difficoltà e hanno raggiunto la dignità», conclude.
E di un «luogo di eccellenza di cui la nostra città è andata e deve continuare ad andare fiera», parla anche il Cardinale che ricorda come «ciò che stiamo celebrando» si inserisca nella Giornata in cui si aprirà la Porta Santa in Duomo per l’inizio dell’Anno giubilare in Diocesi di Milano.
«Il vostro è un segno straordinario di cultura e lo si vede dalle tante manifestazioni culturali e artistiche che hanno nell’Istituto il loro centro», spiega Scola, augurandosi che la «nuova spinta» venuta alla città con Expo possa favorire il ritorno a una situazione economo mica più equilibrata. Curiosa la coincidenza che nell’anno in cui Milano ospitava l’Expo nel 1894, l’Istituto abbia iniziato le sue attività proprio nella sede in cui si trova ancora oggi.
«Nell’attuale momento storico di passaggio, la ricerca del senso è il punto forte per arginare tragici e terroristici fondamentalismi, comunque lo si interpreti. Nell’ottica della testimonianza cristiana, come facciamo noi, sia che si creda diversamente o si pensi di non poter credere, la ricerca del senso è garanzia di speranza e argine a ciò a cui stiamo assistendo».
Essendo anche la V Domenica dell’Avvento ambrosiano, dedicata al Precursore, il Vangelo annoda la riflessione dell’Arcivescovo intorno alla figura del Battista, capace di “diminuire” di fronte al presentarsi pubblico del Signore.
Il pensiero torna, così, all’oggi, alle sue difficoltà e all’incapacità, spesso, di capire l’essere tra noi del Dio vicino.
«Tutti i giubilei, fin dalla tradizione giudaica, avevano questo ruolo di anno in cui riconoscere la presenza di Dio. Invece, la grande tentazione dell’uomo postmoderno, cioè di noi che capiamo che un’epoca è finita, ma non sappiamo cosa fare ora, non capendo ancora bene come i mutamenti ci stanno cambiando, è proprio di dimenticarlo. Pensare che possiamo salvarci da noi, stare in piedi da soli, che possiamo fare a meno di Dio: questo è il vero punto critico. Se si insinua l’idea che possiamo fare a meno di Dio e della vita della Chiesa, il rischio personale e sociale si fa molto grave, perché ad esempio, si prede di vista il valore della persona debole».
È questo il meccanismo per il quale si cade in quella “cultura dello scarto”, che indica papa Francesco.
Da qui, l’allarme del Cardinale che racconta di aver letto come quest’anno si siano registrati trentanovemila morti in più rispetto all’anno scorso e si suppone che si possa arrivare a sessantanovemila, con cifre di cui si ha memoria solo per i tempi di guerra: «è stata avanzata l’ipotesi che la cosa sia dovuta ai tagli della sanità».
Allora che fare? «Riconoscerci umilmente peccatori attraversando la porta Santa e osservando tutte le pratiche previste per ottenere l’indulgenza plenaria, partecipando attraverso la Confessione e la Comunione, alla grande opera di salvezza di Gesù. Così possiamo essere liberati dalle conseguenze del peccato, dalla cosiddetta pena temporale. Abbiamo bisogno della tenerezza di Dio, come ci ricorda il Papa. Vi invito con forza a prendere parte al Giubileo per poter riprendere con slancio pieno la vita umanissima che è la vita cristiana».
Infine, la consegna è a seguire la patrona santa Lucia «colonna solidissima, sposa di Cristo, che accettò un martirio lungo e prolungato».
«Chiediamoci come sia possibile mantenere la speranza, un’interna letizia, magari sopportando di perdere tutto una notte come è successo ai cristiani nelle zone del Medio Oriente e come ho visto nei campi profughi», nota Scola.
«Questi nostri fratelli possono farlo perché hanno capito che il senso pieno della vita è Gesù. Il martirio del sangue, ma anche della pazienza, è chiesto a tutti. Con questa speranza, di cui voi siete esempio attraverso una bella e straordinaria esperienza di civiltà e di cultura, la nostra Milano guadagna, si apre al futuro e sarà capace di affrontare le sfide che questo tempo ci presenta».
Dopo il segno della pace che l’Arcivescovo scambia con moltissimi dei fedeli, scendendo dall’altare e percorrendo l’intera sala Barozzi, prosegue la Celebrazione che si chiude con un momento suggestivo, quando William Bendini, presidente emerito dell’“Associazione Santa Marta” e dal 1976 nell’Unione, viene premiato in occasione della 57° Giornata Nazionale del Cieco.
A suggellare la mattinata intensa dell’Istituto, che vede anche la successiva assegnazione delle benemerenze a personalità della città – arriva anche il sindaco Pisapia – è il saluto del presidente Barbuto. «Grazie, Eminenza, le chiedo solo ciò che esattamente un anno fa dissi al Papa, “Preghi per la nostra Unione, preghi per noi”».