L’Arcivescovo ha celebrato a San Vittore la messa della vigilia di Natale: «Opponete alla disperazione il Dio vicino». Su don Barin: «Soffre in carcere come voi detenuti»
di Filippo MAGNI
L’applauso dei detenuti di San Vittore interrompe in modo irrituale l’omelia, ma le parole del cardinale Scola non potevano non suscitare una reazione. «Il tempo che vivete qua dentro – sono le parole dell’arcivescovo di Milano – è duro, reso ancor più duro dal sovraffollamento e da una concezione punitiva anziché medicinale della pena». Per questo, prosegue, in vista delle prossime elezioni è importante che tutte le forze politiche «esplicitino nel programma elettorale come intendono occuparsi delle carceri», consentendo agli elettori di votare con cognizione di causa. Perché se l’Italia vuole uscire dalla situazione di crisi attuale, aggiunge Scola, «deve dare segnali chiari rispetto ai luoghi di sofferenza come le carceri, la condizione degli anziani, del lavoro, dei giovani».
Al termine della visita al penitenziario milanese, nella «rotonda» in cui confluiscono i 6 bracci del carcere, il cardinale si rivolge ai detenuti che partecipano alla messa natalizia e alle autorità civili sedute nell’assemblea. «Nessun reato ci definisce in maniera compiuta – afferma – perché la nostra persona è più grande del reato commesso». «In voi c’è la consapevolezza – aggiunge – che il riscatto di cui tutti abbiamo bisogno non può arrivare solo da noi stessi», ma «da figli di Dio siamo messi in condizione di ricevere il dono di salvezza che ci fa il bimbo che nasce questa notte».
Da qui l’esortazione dell’arcivescovo: «Qualunque sia il tempo da passare in detenzione, dovete ripartire subito, da questo luogo e adesso, per mettere a frutto questo tempo. Mentre scontate una pena che dovrebbe essere una medicina di amore, condivisione, pur senza negare la verità di quanto compiuto». Il richiamo è «alle istituzioni della città, della regione, ma soprattutto del Paese, affinché si prendano cura di questa situazione».
Riecheggia in queste parole il messaggio che i detenuti hanno rivolto all’arcivescovo in apertura della celebrazione, quando l’hanno ringraziato confessando di sentirsi «gli esclusi, i paria, i messi al bando» del mondo, ma di sentire che può esserci una speranza perché «Cristo quelli come noi li ha tenuti sempre vicini, anche in croce». Una speranza che si oppone alla paura più grande, «non trovare posto nella società, sentirsi destinati solo alla minima dimensione corporale». Essere «padri senza figli, mariti senza mogli, capifamiglia senza famiglie», che però vedono uno spiraglio «nella luce che questa notte viene nel mondo».
In conclusione dell’omelia, l’arcivescovo si sofferma su «un fatto delicato, la vicenda di don Alberto Barin». Il sacerdote «ora è in carcere, non più tra voi, ma come voi. Soffre come voi, e la sua sofferenza mi tocca profondamente come suo vescovo», aggiunge Scola per poi citare le parole del prefazio "Dio di misericordia, alla punizione della colpa preferisci sempre un generoso perdono".
«Attendiamo – aggiunge – che sia fatta verità piena nei fatti e nelle colpe, mentre ricordiamo il bene da lui fatto nella necessità di salvare i diversi aspetti della vita della persona». Con la coscienza che «solo la sincerità, il pentimento e l’espiazione possono restituire la dignità di sé. È un dovere, il perdono non è a buon mercato».
L’augurio natalizio del cardinale ai detenuti, infine, è di «camminare nella luce del Signore, un Dio che è vicino». Con una nota rincuorante: «Bando alla disperazione, opponiamole la speranza solida del Dio che è tra noi».