Al Teatro Brera di Inveruno l’Arcivescovo ha incontrato i fedeli del Decanato di Castano Primo, ai quali ha indicato nell’Eucaristia «il fondamento dei fondamenti della vita cristiana»
di Annamaria BRACCINI
«Il vissuto di ogni giorno deve passare nell’Eucaristia, nella consapevolezza che Gesù vuole condividere con noi, se non gli chiudiamo la porta, un’amicizia e l’incontro vivo e reale con la sua persona». È una Visita pastorale attesa, preparata con incontri a diverso livello e che diviene fonte per un rinnovato cammino futuro, quella che il cardinale Scola compie nel Decanato di Castano Primo. Il Teatro Brera di Inveruno, che si riempie velocemente appena aperti i cancelli, è la rappresentazione del Decanato che conta 18 parrocchie, tre Comunità Pastorali e due Unità, per un territorio di 80 mila abitanti. Siedono accanto all’Arcivescovo il Vicario episcopale di Zona IV monsignor Giampaolo Citterio e il decano don Ferdinando Merelli che auspica: «Camminare insieme ci aiuta, abbiamo bisogno di ritrovarci di più, perché da soli si va poco lontano e si rischia di non dare risposte chiare e precise alle sfide che ci troviamo tutti ad affrontare».
«Mentre attraversavo il traffico di Milano per venire qui – dice subito il Cardinale, rivolgendosi direttamente ai fedeli -, mi chiedevo perché, dopo una giornata di lavoro impegnativa, tanta gente si muove. Perché c’è Uno più grande di noi che ci unisce e una storia che dura da duemila anni, la Chiesa che ci lega. Dunque, un “per Chi” e un perché. Il Figlio di Dio è venuto per essere via alla verità e alla vita, come dice Sant’Agostino, e ha deciso di entrare nella trama della storia, passando dal seno di una donna, assumendo tutta l’umanità, lasciandosi trattare da peccatore, Lui senza peccato, per salvare tutti noi dalla morte». Se questa è la ragione di fondo della Visita, anche la prospettiva è chiara: «Cosa si aspettano l’Arcivescovo e i suoi Vicari episcopali da questo incontro che è un prolungamento dell’assemblea eucaristica attraverso le assemblee ecclesiali? Vorremmo che i gesti che compiamo ogni giorno entrassero nel ritmo normale della nostra esistenza con lo sguardo di Cristo: per questo abbiamo invertito i “tempi” della Visita, che è aperta e non conclusa dal Vescovo»
Un punto di partenza, quindi, la serata con il Cardinale, per poi procedere affrontando, con l’aiuto dei Vicari, dei Decani e dei sacerdoti, le questioni più urgenti del Decanato stesso, e arrivare infine a formulare atti concreti di impegno nel territorio. Lo scandisce Scola: «Non può essere una curiosità udire le risposte del Vescovo, ma occorre quell’ascolto di fecondazione che permette uno sguardo più acuto sulla realtà». Realtà in cui oggi è ormai drammatico quel divario tra fede e vita, già notato nel 1934 dal giovane Montini, per il quale «la cultura italiana aveva escluso Cristo». «Di fronte alla progressiva ed evidente erosione del popolo dei credenti, il problema è tornare ai fondamenti della Comunità primitiva – dice Scola -. Nasce da qui il contenuto della Visita attraverso l’indicazione di una radicazione della vita personale e comunitaria nell’Eucaristia e nei Sacramenti nutriti dalla Parola di Dio, l’educazione al gratuito e, in questo anno, l’educazione al pensiero di Cristo, come si intitola la Lettera pastorale». E tutto per non essere vittime della mentalità dominante, che è in effetti il “filo rosso” delle nove domande poste dai laici, frutto della discussione nelle parrocchie e Comunità pastorali e poi raccolte e sintetizzate in un incontro decanale.
La discussione si avvia dall’Eucaristia, da «come celebrarla perché non divenga un dovere o una devozione tra le altre», facendone capire, invece, il valore, a fronte della diminuzione dell’affluenza alla Messa domenicale. «Raramente nei nostri incontri emerge il significato dell’Eucaristia, mentre vedo che volete parlarne», osserva «con gratitudine» Scola. «L’Eucaristia è l’incontro con Gesù vivo e contiene già in anticipo la nostra prospettiva di risurrezione, che è partecipazione dell’eterno che Cristo, venendo nella storia, ci ha spalancato. Dunque, non può essere una devozione o un dovere, ma è il fondamento dei fondamenti. Il gesto eucaristico è l’incontro personale col Signore che, per i cattolici, è prolungato nell’adorazione, una pratica, talora perpetua, diffusa nel mondo e che va incrementandosi anche in Italia». «Se ci limitiamo alla devozione snaturiamo tale azione e la riduciamo a una forma individuale che non è risposta all’amore gratuito di Cristo. Bisogna che il vissuto passi nell’Eucaristia, rendendoci consapevoli che Gesù vuole condividere con noi, se non chiudiamo la porta, un’amicizia».
Infatti, se anche la partecipazione all’Eucaristia è, oggi, più attiva e consapevole, occorre tuttavia «che la vita passi dentro questo grande evento che è l’azione più importante che l’uomo possa compiere, come partecipazione a un fatto che, in virtù dello Spirito, mi raggiunge nel “qui” e “ora” della mia vicenda personale. La condizione perché la conformazione a Cristo non si riduca alla partecipazione eucaristica domenicale è che ne scaturisca quella comunione che il sacramento che mangiamo genera tra noi». Un «punto debole» – questo – proprio perché non si assumono i quattro pilastri fondamentali messi a tema dalla Visita pastorale: «Dobbiamo essere in comunione tra noi perché lo siamo con Lui. Il cristianesimo non è la religione di un Libro, ma di una Persona che ha dato la vita per noi».
Poi ancora interrogativi relativi all’iniziazione cristiana «in famiglie che attualmente paiono non avere la fede delle generazioni passate», alle «buone pratiche da mettere in campo» e a «come fare per accogliere tutti ed essere credibili come Chiesa». Domande strettamente legate alle prime tre, puntualizza l’Arcivescovo, che arriva al cuore del suo intervento: «Se l’incontro con Gesù deve avvenire oggi per me, lui deve essermi contemporaneo. La radice di questa contemporaneità è l’Eucaristia: dunque, i nostri figli devono avere dei testimoni che ripropongono l’evento di Cristo. Tante volte le nostre comunità offrono molti servizi, ma non pongono tale avvenimento alla loro base. Per questo è importante, in occasione del Giubileo, invitare parenti e amici, che hanno un poco perso “la strada di casa”, a entrare dalla Porta Santa che è Gesù».
D’altra parte, come cristiani nelle nostre terre di antica fede, non «partiamo da zero», in questa che è una vera e propria ricostruzione del tessuto dei credenti: «Pensiamo che la grande maggioranza dei genitori chiede ancora i Sacramenti dell’iniziazione per i propri figli. Abbiamo un grandissimo aiuto degli oratori, come realtà vitali, ma bisogna che tutti gli adulti consapevoli siano impegnati in modo da far vedere che vi è una vita di comunità che li attende. Abbiamo chiamato questa modalità la Comunità Educante, che non è una struttura un più, ma uno stile che mostra la bellezza potente della fede in Gesù», evidenzia Scola, richiamando il ruolo cruciale dei nonni «che, in questo contesto, hanno una finzione formidabile e non vanno trattati solo da baby-sitters». In altre parole, poiché il cristianesimo è una vita bella «che consente di crescere, nonostante la noia della ripetizione dei peccati, non possiamo non comunicarlo al cuore semplice e allo sguardo entusiasta dei bimbi», anche perché tale modalità «ci fa capire, al contempo, come affrontare la realtà degli adulti».
«Il cristianesimo è l’assunzione dell’umano nella sua totalità e le buone pratiche partono sempre dalla vita, prima che dalla dottrina, perché è la vita che conduce alla scienza della verità, come diceva San Tommaso. Dunque, una comunità reale vive la passione per il dono enorme che abbiamo avuto incontrando la fede, La dottrina cristiana, se non è inserita in un dinamismo vitale, rischia di non avere attrattiva e può apparire lontana», come dimostra la perdita delle generazioni di mezzo dai 20 ai 55 anni.
E, infine – ormai è trascorsa un’ora e mezzo -, l’ultima terna di domande sull’impegno della gratuità per «uscire dal movimentismo di protesta, dall’opportunismo e dalla corruzione politica» e su come costruire «una Chiesa in uscita», capace «di superare la paura, in vista di un ideale di convivenza pacifica, come indicato dal viaggio in Africa del Papa».
Tre le parole-chiave: gratuità, impossibilità della delega della carità, dovere di superare la paura: «La crisi del cattolicesimo politico e del movimento operaio si è verificata quando si è persa la dimensione della gratuità. Anche se in Italia abbiamo la società civile e l’associazionismo più ricco di Europa, si è perso il senso del gratuito in vista del bene comune a causa dell’individualismo che ha assunto una dimensione narcisistica molto potente. Come entrare in politica, allora, in modo convinto? Appunto partendo dal dato di fatto che dobbiamo vivere insieme e che è necessario educarsi ad amare, rieducandosi al gratuito attraverso gesti semplici, come andare a trovare un anziano o offrendo qualche momento della nostra vita a chi è in difficoltà. In questo campo, per imparare, è importante la ripetizione con lo stesso ritmo, almeno, dell’Eucaristia domenicale. La paura è di tutti, ma è una cattiva consigliera e nel tempo che stiamo vivendo la strada è, ancora una volta, quella di educarsi al senso pieno della vita. La paura si vince nella fede e nel senso convinto della vita. Dobbiamo poggiare su Gesù nella comunità cristiana, che è autentica solo se fa fiorire la persona e la sua libertà».
Da qui,la conclusione di monsignor Citterio: «Stasera abbiamo avuto la sensazione di un fiume in piena che continua a irrigare il terreno delle nostre comunità. Adesso si tratta di portare questa acqua buona nei più piccoli rigagnoli, nel Decanato, come casa comune».