Il Cardinale ha presieduto in Duomo il Pontificale. «Conoscere l’amore di Dio e seguirlo con tutto il cuore: la via della santità è questa e riguarda ognuno»
di Annamaria BRACCINI
I Santi, riconosciuti o sconosciuti, famosi e ignoti che sono testimoni e amici.
È con un richiamo alla ricerca della santità come impegno da vivere ogni giorno, che il cardinale Scola definisce il senso della Solennità dedicata ai Santi. Il Pontificale che l’Arcivescovo presiede in Duomo, concelebrato dall’intero Capitolo dei Canonici della Cattedrale, si fa, così, preghiera e riflessione sulle Festività cristiane di queste ore.
«La Chiesa – nota, infatti, il Cardinale avviando la sua omelia –, facendo precedere al giorno della gloria dei Defunti la Solennità di Tutti i Santi, ci ricorda che la meta della nostra vita non è la morte, ma il “per sempre”, la sua eterna durata. In una parola, ci educa a guardare la morte dei nostri cari dal punto di vista dell’esito, ossia il paradiso, la casa della comunione con Gesù, con i fratelli e il Padre sostenuta dalla potenza dello Spirito. Casa dalle porte aperte della Trinità».
Dalla Lettura dell’Apocalisse, appena proclamata, una prima indicazione: «Essa ci dice che la santità non è un privilegio di pochi, ma una convocazione per tutti a cui ogni uomo e i battezzati in modo speciale, sono chiamati».
Anche perché “I Santi non sono superuomini, né sono nati perfetti. Sono come noi”, come disse papa Francesco all’Angelus del 1 novembre 2013. «Ma cosa ha cambiato la loro vita? conoscere l’amore di Dio e seguirlo con tutto il cuore: la via della santità è questa». Nella consapevolezza, tuttavia, di una condizione fondamentale: «Noi possiamo amarlo, perché Lui ci ama per primo, offrendo il suo Figlio unigenito. Allora, la santità a cui tendiamo, talora senza saperlo e anche con scetticismo, consiste nell’entrare consapevolmente e liberamente in questo amore, conformandosi ad esso. Non si può scindere la santità dall’amore pieno e autentico, dal bell’amore».
Il richiamo è al Vangelo delle Beatitudini: «Una sorta di biografia interiore di Cristo, un ritratto della sua figura», spiega l’Arcivescovo. «È il mistero di Cristo stesso, per questo non possiamo passare giorno senza prendere coscienza di questo rapporto che ci costituisce come figli nel Figlio, che dà ai nostri rapporti lo spessore di una comunione di amore che neppure i nostri peccati, se riconosciuti, possono interrompere».
Insomma, come dice il grande e antico testo della Didaché, cui ancora si riferisce una citazione del Cardinale, occorre cercare “ogni giorno il volto dei Santi per trarre conforto”. «Di quanto conforto abbiamo bisogno oggi, per le questioni e le fragilità personali, per le contraddizioni e la drammaticità delle situazioni sociali e civili. Pensiamo ai nostri fratelli terremotati, alla tragedia della Siria, ai luoghi in cui la guerra continua; pensiamo alla responsabilità e alla fatiche che dobbiamo fare per essere veramente accoglienti in maniera equilibrata, ma larga, nei confronti di quelli che hanno bisogno. Quanto sarebbe decisivo guardare al volto dei santi», scandisce Scola, aggiungendo: «I Santi ci sono donati e indicati come amici, modelli di vita. Anzitutto Gesù e, in Lui, tutti gli uomini e le donne. Anche i santi anonimi dal punto di vista pubblico, ma che non lo sono meno di quelli canonizzati e sono certo che tra essi ci sono molti dei nostri cari. In questa epoca di individualismo esasperato, in cui l’egoismo e la paura, lo scetticismo e l’ignavia, ci tengono tante volte separati gli uni dagli altri attraverso un individualismo che è ancora più grave del narcisismo, somigliando, piuttosto, a una specie di autismo spirituale, dobbiamo vedere l’importanza e l’urgenza di punti di riferimento da seguire, di testimoni, dei costruttori di speranza e di artefici di misericordia».
La consegna è a volgere lo sguardo ad alcuni dei Santi canonizzati tra ottobre 2015 e ottobre 2016, come i coniugi Martin, «che ci indicano la famiglia come chiesa domestica», madre Teresa di Calcutta che, per spiegare la ragione della carità delle sue figlie, disse: “Esse amano Gesù e trasformano in azione vivente questo loro amore”. «Se facciamo così ogni giorno, in ogni ambiente, la nostra vita si fa piena».
E, ancora, i recentissimi Canonizzati il 16 ottobre scorso, Giuseppe Sanchez del Rio, martire in Messico a 14 anni, ed Elisabetta della Trinità morta a ventisei anni nella letizia e nella gioia. «Guardiamo ogni giorno i volti dei Santi con occhio rivolto già alla Trinita e all’eterno, non dietro le spalle: così dobbiamo recarci al Cimitero per ricordare i nostri cari».
Un pensiero che, a conclusione della Celebrazione, il Cardinale sottolinea ulteriormente: «Nella preghiera di suffragio che faremo per i nostri cari, ricordiamo anche i tantissimi che non hanno nessuno che fa memoria di loro e, in particolare, preghiamo per quanti hanno incontrato la morte e la perdita di tante cose nel terremoto e per coloro che si trovano in guerra. Facciamo questo non in una prospettiva di mestizia, ma di apertura alla vita beata nella Trinità».