Il Cardinale ha presieduto in Duomo la Celebrazione eucaristica: il Signore che viene in mezzo a noi rende la realtà «un qualcosa che non ci fa, paura, non più un mistero indecifrabile da scongiurare e da cui difendersi»

di Annamaria BRACCINI

Giovanni di Paolo di Grazia (1465 ca), Chicago Art Institute

“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. 
Parte dalla famosa domanda dei discepoli mandati dal Battista, nella pagina del Vangelo di Matteo, la riflessione del cardinale Scola che, in Duomo, presiede la Celebrazione eucaristica della III dell’Avvento ambrosiano. Tra le navate trovano posto moltissime persone, tra cui i fedeli provenienti dalla Zona pastorale IV con il loro Vicario episcopale, monsignor Giampaolo Citterio, gli aderenti all’“Apostolato della Preghiera” e a “Regnum Christi” cui si aggiungono gli appartenenti alla CP “San Francesco” di Mariano Comense e alla Cooperativa sociale “Il Carro” di Paullo. 
«Sempre, quello che accade, tanto più quando ci supera, non è dominabile e ci spiazza, suscita nuove domande in noi che, magari, passiamo tanto tempo della settimana dimenticandoci di Gesù», dice ancora nella sua omelia l’Arcivescovo che spiega: «La realtà, cioè quella trama di circostanze e rapporti in cui siamo immersi, ci pro-voca, ci interpella. Per questo non mi stanco di ripetere che dobbiamo insegnare bene ai nostri ragazzi che tutta la vita è vocazione, risposta alla chiamata che Gesù ci fa giorno dopo giorno, a scuola, sul lavoro, nel modo di vivere gi affetti e la giustizia. Ognuna di tali circostanze concrete descrive la nostra vita come una risposta». 
Un “dire sì” al Signore, che proprio per il suo essere venuto in mezzo a noi, dall’Incarnazione, ha fatto della realtà «un qualcosa che non ci fa paura, non più un mistero indecifrabile da scongiurare e da cui difendersi». Da qui, quella che il Cardinale chiama «una prima consolante realtà che possiamo cavare dalla liturgia di oggi:  Gesù ci accompagna e non ci abbandona mai».
Torna così, Scola, all’interrogazione iniziale – “Sei tu o no il Messia?” – e alla risposta di Gesù, indiretta, ma vòlta a indicare i segni della presenza del Messia che si sono realizzati. Appunto, quelle “profezie compiute” che danno il titolo alla Domenica di Avvento e sono suggello di ciò che accade con un Dio bambino che «esprimendo il suo stile di vita, ci costringe a essere coinvolti con Lui». Segni di compimento nella liberazione e nella redenzione. Le promesse fatte ai padri, nel Primo Testamento, divengono, così, visibili e rendono responsabili i credenti. «Una qualità di vita che il cristiano testimonia e documenta e che sa farsi carico di tutti i bisogni di ogni fratello, soprattutto degli umili e degli esclusi». 
Il pensiero è all’Anno giubilare, appena conclusosi: «La misericordia – offerta a tutti in modo sovrabbondante, come suggeriscono la Prima Lettura dal profeta Isaia e il brano dell’Epistola paolina ai Romani – è, dunque, la parola conclusiva che Dio rivela all’uomo e le opere di misericordia sono il talento che gli affida da trafficare». Un modo, questo, privilegiato di vivere l’Avvento che «ci domanda di stare nell’atteggiamento di perdono, di scavare in profondità nella nostra miseria per camminare sulla strada della felicità e del nostro compimento», scandisce l’Arcivescovo, citando la Lettera Apostolica “Misericordia et misera” e ricordando la visita di papa Francesco del 25 marzo prossimo a Milano. «Sarà una speciale occasione, una singolare provocazione per confermare la nostra fede e rimuovere tutte le nostre resistenze alla correzione e alla conversione». Richiamo ripreso al termine della Celebrazione: «Dobbiamo intensificare la nostra energia, mettendo a disposizione anche il sacrificio per la condivisione. La misericordia significa che dobbiamo praticare le opere di misericordia, scegliendo gesti semplici e compatibili con i nostri ritmi di vita. Ricordiamo che lo spazio fatto alla condivisione del bisogno è spazio fatto a Dio. Rimaniamo fedeli all’Eucaristia, partecipando anche una Messa nei giorni feriali».

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