Presiedendo la Celebrazione nella prima domenica di Quaresima con il Rito dell’Imposizione delle ceneri, il Cardinale ha sottolineato il valore di questo tempo come momento per vivere una vera conversione del cuore, guardando a ogni circostanza e rapporto della vita con il pensiero di Cristo
di Annamaria BRACCINI
La Quaresima come tempo di conversione che non può fermarsi all’esteriorità, ma che deve raggiungere «la radice dell’io, l’educarsi al pensiero e al cuore di Cristo», perché, altrimenti, i suoi «segni, pur importanti, come l’imposizione delle ceneri, gli atti di digiuno e di penitenza, le opere di misericordia corporale e spirituale, sono pura apparenza».
In Duomo, il cardinale Scola presiede l’Eucaristia della prima domenica di Quaresima e la sua riflessione, proposta alle migliaia di fedeli che sono tra le navate, è un invito a vivere con autenticità – con contrizione, nel senso etimologico del termine – il tempo che ci separa dalla Pasqua di Risurrezione del Signore.
Un ritornare a Cristo «con tutto il cuore», come dice il profeta Gioele, nella prima lettura, attraverso un’espressione «benefica, consolante e piena di amore», nota l’Arcivescovo. Per questo, ci si riunisce, in Duomo e dall’altra parte del mondo, dove in queste ore si trova il Papa, nell’Eucaristia.
Dunque, una Quaresima, con il suo digiuno, concreto e ideale, da vivere come «decisione di assimilare la mentalità e il sentire di Cristo, vero centro affettivo della vita del cristiano» e come possibilità di riconoscere la «piena fisionomia di Gesù». Quella che emerge, non a caso, con particolare forza, nelle tentazioni evangeliche nel deserto.
Tentazioni comprensibili a ognuno di noi perché, come scrive Benedetto XVI, «esse rappresentano tutte le possibili tentazioni della vicenda umana, personale e sociale. Così – in un gioco di ombre e di luce, di negativo e di positivo – , le risposte di Gesù al maligno «altro non sono che un invito a prendere sul serio le preghiere di domanda contenute nel Padre nostro: non il facile benessere, prima tentazione, ma “dacci oggi il nostro pane quotidiano”; non il potere, la seconda, ma “venga il tuo regno”, non l’autoaffermazione narcisa di sé, ma “sia fatta la tua volontà”».
Da qui, una prima indicazione chiara del Cardinale: «Il digiuno quaresimale, immedesimazione alla persona amata di Gesù, ci mette davanti la nostra persona con i doni e i difetti che abbiamo, ci richiama a un salutare ri-dimensionamento delle pretese del nostro io troppo spesso, in questi tempi di inizio millennio, reclinato su di sé».
Occorre, allora, comprendere a pieno ciò che appare «impensabile» e che, invece, sempre accade. «In forza dell’amore che Dio ci porta, il peccato – il fattore che più ci allontana da Dio – diventa, per Cristo, l’occasione per ricondurci a Lui. Il punto di massima lontananza e separazione da Dio che noi, peccando, sperimentiamo, nel pentimento, diventa il punto del massimo dell’avvicinarsi di Dio a noi».
È questo, oggi più che mai, suggerisce Scola, l’amore «misericordioso» al quale dobbiamo tendere. «Il Giubileo della misericordia, la porta della Misericordia, i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, l’indulgenza che molti battezzati stanno sperimentando siano per noi, in questa Quaresima, consapevolezza personale e matura del Battesimo ricevuto da bimbi. Se, infatti, perseveriamo nell’incontro personale con Gesù, all’interno delle nostre comunità, Egli diventa in maniera sempre più evidente il centro affettivo della nostra esistenza. Facciamo, così, l’esperienza di un grande amore nel cui abbraccio ogni circostanza ed ogni rapporto ricevono piena luce e la nostra vita più camminare decisa verso la patria definitiva, senza perdere niente di quella terrena».
È nell’ottica della misericordia di Dio, offerta a tutti e che crea l’amore vicendevole tra i suoi figli, uniti dalla nuova parentela cristiana, che nasce, il criterio per la ricostruzione dei legami sociali.
«Infatti, la redenzione di Cristo è universale. Non solo per coloro che sono vittima della guerra, della cultura dello scarto e dell’esclusione, ma per coloro che, accecati dalla violenza del potere, sono gli artefici di queste scandalose e inaccettabili situazioni. “Lacerarsi il cuore” domanda, anzitutto, di riconoscere il nostro peccato. Per quanto l’uno possa precipitare negli abissi troverà sempre il volto della Misericordia, Cristo stesso. Pregare per la pace, essere uomini di pace significa domandare a Cristo, la nostra pace, la conversione nostra e di ogni nostro “fratello uomo”».
Il richiamo è al san Paolo della I Lettera ai Corinzi, con l’immagine della corsa, già illuminata dalla Risurrezione e dalla speranza. «A ciascuno di noi la possibilità di questa corsa è gratuitamente donata. Ci è solo chiesto di compierla».
E, infine, l’Arcivescovo conclude: «Entriamo con animo docile e lieto in questo tempo privilegiato», in cui la Via Crucis, che i Cardinale celebrerà in Duomo e, quest’anno, su richiesta dei detenuti, anche a San Vittore, da un contenuto speciale.
Poi, dalle mani del Cardinale l’imposizione delle ceneri sul capo dei sacerdoti e dei fedeli, dopo averle anche lui ricevute dal penitenziere maggiore della Cattedrale, monsignor Gilardi: ceneri che, anche visivamente, ricordano la necessità della conversione del cuore in quella logica battesimale che, non a caso, la liturgia ambrosiana richiama con insistenza proprio nel cammino quaresimale, delineato come tempo di “tensione tra morte e nascita”.