Il Cardinale ha presieduto il Pontificale in Basilica. Ai moltissimi fedeli riuniti ha ricordato i tratti essenziali della figura - «attualissima» - del Patrono con la responsabilità che ne deriva per i cristiani di oggi

di Annamaria BRACCINI

sant'ambrogio 20166

Per la solennità liturgica che ricorre significativamente nella data esatta dell’ordinazione episcopale del Patrono – correva l’anno 374 -, il cardinale Scola presiede il Pontificale di Sant’Ambrogio. La gente si affolla tra le navate cariche di storia della Basilica a lui intitolata. Concelebrano cinque Vescovi, i sacerdoti del Capitolo della Cattedrale, di quello di San’Ambrogio e alcuni stretti collaboratori dell’Arcivescovo. Ad ascoltarlo, in altare maggiore, ci sono i seminaristi della I e II Teologia, con il rettore del Seminario, monsignor Michele Di Tolve.

La missione esalta la persona

La figura di Sant’Ambrogio giganteggia nelle parole del suo attuale successore, che dice subito: «Dopo tanti secoli questa figura domina ancora la scena della nostra Milano amata e responsabile di un cammino futuro non solo per i suoi cittadini, ma per tutta l’Europa». Insomma, la vocazione attualissima del Santo riguarda tutti: «In Ambrogio si vede bene che è la missione ciò che compie definitivamente i lineamenti dell’individuo, perché niente come la missione esalta la persona nelle proprie doti, nel temperamento e nella sua storia. Cosa sarebbe Ambrogio senza il suo compito civile, prima, e la sua missione ecclesiale, poi», suggerisce ancora Scola che aggiunge: «Tale capacità di unire questi due elementi e ciò che è domandato ancora oggi all’autorità».

Infatti, nella definizione dei «tratti distintivi» santambrosiani si rinvengono, secondo l’Arcivescovo, molti caratteri utili a comprendere e affrontare anche la situazione attuale: «Anzitutto il suo profondo e tenace senso della giustizia come strada per affermare la dignità inalienabile di ogni uomo e la necessità che egli viva nella giusta relazione con Dio, con se stesso e con il creato». Non a caso papa Francesco, nelle sue Catechesi sulla Misericordia nella Sacra Scrittura, cita il piccolo libro di Ambrogio dedicato a Naboth, in cui si parla di poveri, di carità e di giustizia.

Ancora, il riferimento è all’Ambrogio che lotta strenuamente contro gli Ariani in difesa della verità e della libertà della Chiesa, «per cui egli osò sfidare, con grande coraggio e rischio, i soprusi dell’autorità». E allora il Cardinale cita a sua volta Charles Péguy nella sua «bella e provocatoria frase: i cristiani, quando sono autentici, sono i più civici tra tutti gli uomini». Ovvio il richiamo al Santo, «esempio di apostolica fermezza, insigne maestro della fede – quanto ne abbiamo bisogno oggi! -, e instancabile Pastore del suo gregge», nella logica, peraltro, definita dal profilo del Buon pastore appena proclamato nel Vangelo di Giovanni, 10. «Vediamo qui quell’unità, che tanto stava a cuore a San Giovanni XIII, tra Pastore e padre. Accogliete i sacerdoti, non fermatevi ai difetti, ma andate alla sostanza della missione, aiutateli a guidare la comunità cristiana con questa forza di padri», scandisce l’Arcivescovo.

L’Annuncio che incide nella vita

Infine, Ambrogio educatore e predicatore appassionato (quasi tutte le sue opere derivano dalla predicazione omiletica), che fa applicare alla sua figura la definizione della Lettera agli Efesini: «A me è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del Mistero nascosto da secoli in Dio». «Questo fu per Paolo, per Ambrogio, per tutti i santi e deve esserlo per ognuno di noi: essere annunciatori di Cristo e illuminare questo Mistero facendo vedere quanto incida nella vita e storia di oggi». Chiarissima la preoccupazione: «È terribile che la nostra dimenticanza riduca il grande avvenimento di Cristo e la Chiesa, che ne è venuta, a una sorta di mito, a qualcosa che, secondo taluni intellettuali che si credono molto sofisticati, sarebbe ormai terminato, essendo nell’epoca del dopo-cristianesimo».

«Ricordiamoci che Sant’Agostino imparò da Ambrogio “l’ascoltare di dentro”, così importante da essere citato dal Concilio Vaticano II al numero 25 della Dei Verbum». Da qui l’auspicio: «Niente nella vita, tanto meno nel cristianesimo, può essere comunicato se non partendo dal coinvolgimento di sé e dalla testimonianza. Nell’educazione al pensiero di Cristo, riconosciamo nel padre Ambrogio un luminoso testimone di quell’unità tra fede e vita di cui abbiamo tanto, tanto bisogno. Da lui vogliamo imparare un coinvolgimento carico di testimonianza nella vita di tutte le nostre comunità e nell’impegno con la nostra amata Milano. La città e le nostre terre attraversano, non senza gravi contraddizioni, un tempo di rinascimento. Proprio per questo la nostra responsabilità di fedeli e di cittadini europei si è fatta più gravosa e decisiva».

Richiamando la celebrazione dell’Immacolata, che sarà presieduta domani in Duomo dal neo cardinale Renato Corti, e la visita del Papa del 25 marzo – «alla quale vogliamo preparaci con grande cura» -, il pensiero è al credere della Vergine, con le parole con cui proprio Ambrogio commenta l’Annunciazione del Vangelo di Luca. Un «sì» che deve essere anche il nostro, da vivere, nei pochi giorni che separano dal Natale, attraverso un’opera di misericordia verso chi è nel bisogno fisico e morale.

 

 

 

 

 

Ti potrebbero interessare anche: