L’Arcivescovo ha presieduto l’Eucaristia nell’Abbazia benedettina dei Santi Pietro e Paolo di Viboldone, dove è attiva da 75 anni una Comunità monastica che oggi conta 25 consacrate e 2 novizie: «Questa Abbazia è un segno potente»
di Annamaria BRACCINI
Un «segno di gioia», la visita in un’Abbazia che è «baluardo solido e sicuro per tutta la Chiesa ambrosiana». Nel giorno della festa liturgica di Santa Lucia, il cardinale Scola giunge attesissimo nell’Abbazia dei Santi Pietro e Paolo a Viboldone. Accolto all’ingresso della splendida chiesa trecentesca dalle Claustrali che intonano l’antifona ambrosiana Pax in Caelo, l’Arcivescovo presiede, secondo il Rito romano, l’Eucaristia concelebrata dal Vicario episcopale per la Vita consacrata femminile, monsignor Luigi Stucchi, e dai sacerdoti del Decanato di San Giuliano Milanese, che qui si alternano nel celebrare durante la settimana, guidati dal decano don Luca Violoni. Tra le navate affrescate c’è un bel numero di fedeli, ai lati dell’altare siedono le monache benedettine.
Il saluto della Badessa
La Badessa, madre Maria Ignazia Angelini porge il saluto, a nome della Comunità che conta 25 consacrate, 2 novizie e un’aspirante, impegnate nella preghiera e nel lavoro di restauro di antichi volumi e codici: «Abbiamo lungamente atteso la sua presenza e parola, oggi è un giorno di gioia e di conferma», dice la Badessa, che richiama l’importante anniversario della presenza benedettina a Viboldone: 75 anni “compiuti” l’1 maggio scorso, nel giorno in cui, nel 1941, fu canonicamente eretto il monastero sui iuris in cui – per volere del cardinale Schuster – era stata accolta la Comunità di religiose guidata da madre Margherita Marchi.
«Siamo un piccolo frammento radicato nell’estremo sud della Diocesi. Nella vasta e plurale Chiesa ambrosiana, siamo attraversate da tante domande. Ci dica una parola su cosa un Vescovo attende da noi e ci introduca al legame di collaborazione con tutto il corpo ecclesiale». Il riferimento è ai problemi di oggi, ma anche «alla desolazione del Borgo di Viboldone, in cui, comunque, da sette secoli è presente una comunità di preghiera» (nel 1348 nell’Abbazia originaria erano già attivi gli Umiliati).
L’unica vera conversione
Interrogativo che nasce dal cuore, lo si intuisce, e al quale il Cardinale risponde subito: «Già la presenza di tanti laici e dei preti del Decanato può essere una risposta», spiega. Il pensiero è per la Parabola dei due figli inviati dal padre a lavorare nella vigna nel Vangelo di Matteo: «Tutto si gioca su quel “si pentì”, dove appare evidente che la forza del primo figlio non sta nella volontà, ma nella relazione con il padre, relazione di misericordia. Il suo pentimento nasce dal fatto che tiene alla relazione. Tornare a questa relazione è l’unica vera conversione, come ci ha ricordato questo Anno giubilare».
Scola cita Oscar Wilde – «da dove può entrare Gesù se non da un cuore spezzato» – e si rivolge direttamente alle Claustrali: «All’origine della vostra vocazione, del carisma benedettino c’è questa obbedienza filiale al Padre che fiorisce nella conformazione a Cristo e al suo pensiero. Siete immerse nella realtà. Non importa se il borgo è semiabbandonato, la lontananza fisica dalla Milano in rinascita o se siete lontane dal cuore pulsante della Diocesi, laddove c’è, nella vocazione e in chi partecipa di quest’aura benedettina, il desiderio di donarsi per intero ai fratelli con amore. In questo, l’Abbazia è un segno potente».
La riflessione si sofferma anche, in senso più ampio, sul cristianesimo: «Non è in crisi finché la santità fiorirà all’interno delle sue fila, perché così non si edifica solo la Chiesa, ma anche, in profondità, la realtà sociale e civile. Coloro che dicono che è in crisi non ne hanno capito la sostanza e lo confondono con una forza egemone. Con le parole della Costituzione apostolica di papa Francesco Vultum Dei quaerere, il profilo della claustrale, “sull’esempio della Vergine Madre, il contemplativo è colui che è centrato in Dio, per il quale Dio è l’unica cosa necessaria, di fronte a cui tutto si ridimensiona perché guardato con occhi nuovi: la persona contemplativa capisce l’importanza delle cose, come qui si vede bene con l’inserimento nella storia e nel presente della Chiesa ambrosiana, della realtà civile e sociale. Tuttavia le cose non rubano il suo cuore, ma, anzi sono una scala per arrivare a Dio».
Non anteporre nulla a Cristo
In questo contesto, suggerisce il Cardinale, «il problema dei cristiani di oggi è che non c’è più il fascino del dono totale di sé, di un amore tarato sull’infinito, amore che viene da Dio e che tende al per sempre». «Per restituirci questa capacità originaria, il Verbo si è fatto carne: questa è la straordinaria notizia del Santo Natale e voi l’annunciate con la forma stessa della vostra vita. Come il Battista indicate e rendete presente il Signore, mostrando che è contemporaneo all’uomo di oggi. Questa è la sfida».
Nel rifermento a Santa Lucia, l’Arcivescovo formula, infine, il suo auspicio: «Manzoni aveva ben capito che Lucia significa donatrice di luce e, per questo, ha scelto tale nome per la protagonista del suo capolavoro. Siate segno visibile, strumento mediante il quale chiunque, fosse pure il turista più svagato, possa sentire il profumo di questo luogo e tendere, con tutte le energie, al compimento di sé».
«Il cristiano non è maturo finché non riesce ad arrivare all’invocazione “Signore fammi vedere il Tuo volto”. Il vostro è un baluardo solido e sicuro per tutta la nostra Chiesa ambrosiana: Chi vive e frequenta l’Abbazia dimostra di non anteporre nulla a Cristo», conclude il Cardinale che, successivamente, entra nel Monastero per un dialogo con la Comunità.