Il Cardinale ha presieduto l’Eucaristia per i defunti nel Cimitero Monumentale di Milano. Ricordando i morti, ma anche i tanti martiri di oggi, l’Arcivescovo ha invitato a guardare alla «consolante verità che tutto concorre al nostro bene»

di Annamaria BRACCINI

messa monumentale 2015 scola

Sotto un tiepido sole autunnale che rende bello come un giardino, arricchito da tante opere d’arte, il Cimitero Monumentale, l’Arcivescovo presiede la Celebrazione nella vigilia della memoria dei Defunti. All’aperto, per l’Eucaristia, si raduna tanta gente che si affolla fino sulle scale che portano al Famedio. «In questo luogo della memoria vitale, riuniti in onore di quanti ci hanno preceduto all’altra riva, celebriamo il passaggio tra due tappe liturgiche che caratterizzano l’inizio del mese di novembre», dice, in apertura della sua omelia, l’Arcivescovo, indicando la successione e la relazione esistente tra i giorni dedicati ai Santi e ai Defunti. «La Solennità di Tutti i Santi fa memoria dei santi proclamati tali dalla Chiesa, ma anche e di più della sterminata schiera dei santi tra i quali ci sono – ne siamo certi – anche nostri cari, che sono sconosciuti, ma che già godono della vita eterna al cospetto di Dio».

Dalla Lettera ai Romani, il primo invito alla consapevolezza, poiché “noi siamo quelli che da sempre Dio ha conosciuto e che ha anche predestinati a essere a immagine del suo Figlio”.

Nasce da tale predestinazione, pur passando dalla prova della morte, il nostro essere creati per la vita eterna, suggerisce l’Arcivescovo che aggiunge: «spesso dimentichiamo questa consolante verità, se evitiamo il peccato siamo abitati dalla Trinità, che ci conosce a uno a uno e non ci lascia mai soli, e siamo incorporati a Gesù in un rapporto stretto mediante l’Eucaristia. Tutto concorre al nostro bene, per questo visitiamo le tombe, perché siamo certi della vita eterna».

Il richiamo è ancora alla famosa espressione di Paolo, “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”: «La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, il pericolo, anche la morte e la vita, nulla può essere contro di noi. Certo, l’angoscia ancora ci tocca, ma sappiamo fin da ora che questa non è la parola finale, se viviamo con quello stile di vita che ci insegna il Vangelo delle Beatitudini. Stile che non è secondo la logica di oggi – fatta di ricerca di fama, di danaro, di gloria effimera, di potere -, ma descrive il vero vincitore».

Il pensiero e la preghiera è per i morti, ma anche per i tanti fratelli che hanno o stanno subendo il martirio e «che fanno esperienza concreta di ciò che il Vangelo ci ha detto. Cristiani dell’Iraq, che hanno perso tutto in una notte, di Siria, di Medio Oriente, costretti a lasciare le loro case, cosi che la terra sacra di Gesù rischia di essere quasi priva di cristiani, dopo duemila anni di presenza. Ricordiamo in modo speciale questi fratelli che non sono affatto un gruppo, ma Chiese vive e li uniamo all’affetto dei nostri cari defunti, perché Cristo ha inaugurato una nuova parentela, più larga di quella della carne e del sangue, da cui scaturisce la vita nuova della Chiesa».

Un sentirsi parte della grande famiglia umana che può aiutare, con le debite distinzioni, anche a comprendere la nuova fisionomia del cittadino contemporaneo, del nuovo milanese, del nuovo europeo che sta nascendo dal travaglio e dalla fatica della grande immigrazione e dal mescolamento di popoli che è in atto, sottolinea il Cardinale. «La nostra Milano, che ha trovato nell’Expo un sussulto di rinnovamento, possa ora, attraverso ognuno di noi, rendere stabile una cittadinanza rinnovata, capace di apertura, di accoglienza equilibrata, di relazione, di rapporto, di condivisione con chi è nel bisogno, di vicinanza, di solidarietà effettiva. Chiediamo a tutte le Istituzioni – in prima fila siede, in rappresentanza del sindaco Pisapia, l’assessore Granelli – di promuovere tutto questo con una sussidiarietà piena, rispettosa, capace di stimolare una Milano metropoli che possa essere segno per tutti i suoi abitanti, per gli ospiti e per l’intero Paese».

Poi, un breve momento di sosta al Famedio, davanti al monumento funebre di Manzoni e alle targhe che ricordano i cittadini che hanno onorato Milano, tra cui, da poco, è stato inciso il nome di don Raffaello Ciccone, per decenni responsabile del Servizio di Pastorale dl Lavoro della Diocesi.

Infine, la preghiera raccolta e silenziosa presso al sepoltura di monsignor Luigi Giussani, mentre già scende la sera.

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