Il cardinale Scola ha ripreso la Visita pastorale feriale ai Decanati della Diocesi. Incontrando “Baggio” e “Gallaratese”, nella parrocchia Maria Regina Pacis, ha raccomandato l’urgenza di una testimonianza attrattiva, convincente e lieta nella Comunità
di Annamaria BRACCINI
Sono il 40esimo e 41esimo Decanato in cui si svolge la Visita Pastorale “feriale” voluta dal cardinale Scola. Sono “Baggio” e il “Gallaratese”, popolose zone di Milano-ovest, che l’Arcivescovo incontra, insieme, nella parrocchia Maria Regina Pacis.
«È la Visita del Pastore e ci disponiamo ad ascoltare le sue indicazioni perché vogliamo ritmare il cammino della Comunità, non con uno stile anarchico, ma seguendo la Chiesa», spiega, in apertura, monsignor Catrlo Faccendini, vicario episcopale della I Zona pastorale-Milano. Accanto al Cardinale ci sono i due Decani, don Paolo Citran, facente funzione per “Baggio” e don Riccardo per il “Gallaratese”. La Vergine, fisicamente rappresentata nel bel mosaico in cu spicca un colorato arcobaleno, pare vegliare dall’alto il dialogo con i fedeli che rappresentano le 6 parrocchie per 36.000 abitanti del “Gallaratese” e le 9 di “Baggio”, (cui sia aggiunge la Cappellania dell’Ospedale “San Carlo”) che conta oltre 56.000 abitanti.
«Il popolo ambrosiano è vivo e voi qui stasera lo testimoniate, così come ho potuto constatare in tutte le mie Visite», nota subito Scola, esprimendo sentimenti di gratitudine e consolazione.
«Considerate attentamente la natura di questo incontro che non è una riunione – aggiunge –, perché quando i cristiani si ritrovano creano un’assemblea ecclesiale, ossia prolungano l’Eucaristia facendola passare nella vita di ogni giorno. Non a caso, san Tommaso diceva che l’Eucaristia deve arrivare alla realtà che è la Chiesa viva. La Visita pastorale è un’occasione privilegiata dell’azione del Vescovo che realizza la sua presenza – il “faccia a faccia” è insuperabile, anche in presenza dei nuovi mezzi della comunicazione – e il suo compito: guidare, incoraggiare, consolare ogni membro del popolo di Dio che gli è stato affidato».
L’invito è a vivere l’assemblea con semplicità, ma coscienti che, in questa fase di cambiamento di epoca, esiste anche tra tanti battezzati una frattura tra fede e vita. «Pur essendo ancora vivo e sincero il senso della fede, una volta usciti di Chiesa tendiamo a ragionare secondo la mentalità dominante. Lo scopo della Visita a pastorale è, dunque, quello di riprendere il tema dell’educarsi al pensiero di Cristo». Contenuto fondamentale, questo, per costruire vita buona, perché «un cristianesimo che non incide, non entra nella realtà, non si comunica e rimane ai margini».
Poi, le domande: Davide del Decanato Baggio chiede «come essere sale per la vita della Comunità e linee pratiche per migliorare la vita delle parrocchie»; Luca sempre di Baggio, si interroga: «Cosa ci manca per essere convincenti nel nostro annuncio?», usando al parola “cristianizzazione”. Da qui parte la riflessione del Cardinale.
«In tre secoli, dopo la venuta di Gesù, alcuni uomini a piedi e a voce hanno portato la fede in Cristo nel mondo, ma anche ora ci sono Comunità cristiane in crescita, come in Corea del Sud, che conta tra gli 80.000 e i 100.000 battesimi ogni anno, e continenti che hanno vitalità, quali l’Africa e un’America Latina cristiana capace di influenzare anche gli Stati Uniti. Semmai il problema è l’Europa stanca, affaticata a tutti i livelli e, quindi, anche a quello della vita di fede».
Si parla di pigrizia missionaria, di scarso entusiasmo e di difficoltà di comunicazione, ma «se la fede è la radice di un rapporto con il Dio vivo che ci raggiunge nella Chiesa e nella Vergine io riesco a comunicare questo dato».
Chiara quella che l’Arcivescovo definisce «la questione numero 1»: il soggetto. «Chiediamoci che peso ha Gesù nella nostra giornata, che incidenza ha l’apparenza alla Comunità viva del Chiesa».
Il pensiero è ai quattro pilastri della Chiesa di Gerusalemme, descritti in Atti 2 42-47: atteggiamento di fedeltà all’insegnamento degli Apostoli, di confessione, educazione al gratuito radicata nella Celebrazione sacramentale illuminata dalla Parola di Dio e il rendere Cristo convincente con e nella vita della Comunità. «Non dobbiamo ridurre la sequela di Cristo alle pur necessarie iniziative e servizi che le Comunità possono proporre e offrire. Occorre fare questo, ma lasciando emergere la nostra crescita come persone in Gesù. Il guaio dell’Europa cristiana è aver lasciato alle spalle il soggetto personale. Mentre condivido il bisogno o accolgo l’immigrato, si deve vedere il mio volto cristiano: l’entusiasmo nasce da lì e così si convince l’altro. Infatti, la parola entusiasmo significa, etimologicamente, “essere in Dio”. Se una Comunità non fa fiorire la persona e la persona non sente la Comunità, come modalità di appartenenza a Cristo, entrambe si spengono. Non nascondiamoci dietro le azioni, anche se buone, ma domandiamo ogni giorno, attraverso la Madonna, che Cristo che è fedele in ogni circostanza e rapporto, continui a tenerci, come da sotto il mento, nella vita lieti».
Continuano domande: Marco del Gallaratese, «come è possibile ritrovare i principi di fratellanza che il cristianesimo ci insegna», simile il dubbio di Walter di Baggio.
«Un atteggiamento fondamentale per vivere cristianamente la generosità, come dono totale, è seguire l’esempio del Signore. Se le relazioni rischiano di perdere la loro bellezza e il gusto della vita è ridotto a niente, questa è esattamente la stanchezza di cui parlavamo», scandisce Scola che sottolinea: «In questi quartieri avete fatto un lavoro straordinario, anche grazie all’azione dei cristiani la società civile è maturata, ma resta aperta la questione del gusto della vita che si può conquistare solo attraverso l’emergere del soggetto. Le belle relazioni o le realizziamo o non ci saranno, certo non nasceranno da elaborazioni di gruppo o a tavolino. Il campo è il mondo, mentre rischiamo di restare troppo attaccati al campanile. Una delle strade maestre perchè le relazioni rinascano é che la famiglia sia luogo di base dell’evangelizzazione».
Questo, d’altra parte, significa essere Chiesa in uscita: «non ci deve esservi frattura tra gli ambienti ecclesiali e quelli della vita. La risposta ai bisogni è decisiva, ma va vissuta in questo modo: non come buon esempio, ma con totalità di coinvolgimento per l’annuncio di un Altro, del Signore. E per questo essere si deve lieti in quanto si compie».
Poi Rosaria del Gallaratese e Adriana di Baggio sul tema della testimonianza.
«C’è una parola-chiave che emerge da queste due domande, parola di cui abbiamo molta paura ma spiega il travaglio attuale: l’appartenenza. Se uno non vuole appartenere a nessuno, in verità, appartiene ai poteri dominanti. Uno dei limiti della situazione europea è la riduzione del Magistero del Papa e dei Vescovi a un’opzione come un’altra. La strada per essere missionari, testimoni è di appartenere a un corpo che tende a generare legami stabili. L’io non può dire io sino in fondo senza appartenenza».
Infine, la raccomandazione del Pastore: «Non dimentichiamo nessuno, specie i più abbandonati e i sofferenti a cui dobbiamo tenere la mano fino all’ultimo istante di vita. Affrontiamo il problema, ormai strutturale, dell’immigrazione con un’accoglienza diffusa e fraternità»